Si chiama Natalie Portman ed è quella raffinata attrice con la laurea che frequenta poco i giornali e moltissimo le cerimonie di premiazione. Dopo il primo film da regista – A Tale of Love and Darkness – recita in Jackie di Pablo Larraín, una vivisezione dei Kennedy. Portman sarà la First Lady dopo l’assassinio del marito. Niente di sentimentale: i quattro giorni in cui Jacqueline si concentra sul tema della conservazione del potere.
Serviva un certo tipo di attrice: garbata ma egocentrica, tenera ma antiromantica. E naturalmente: con una faccia più da ingenua che bellissima. In una parola, ci voleva una gattamorta.
Cos’è una gattamorta. Perché non è una questione genetica, quanto di autoaddestramento.
La gattamorta la riconosci perché riesce nell’impresa unificante di attirarsi assieme l’odio delle donne e quello degli uomini. Continuiamo tutti a chiamarle così per provare ad attaccarle almeno con una definizione svilente (“gatta morta” fu in principio usato da Manzoni, era un’accusa unisex), in realtà si tratta delle femmine più aggressive e ingegnose della specie.
Cosa fa una gattamorta: nulla. Nessuna iniziativa, entusiasmi controllati, rari cenni d’interesse per altro da sé – passività calcolata, l’esca primordiale. È l’incredibile smentita a Darwin: loro non si adattano mai, si deve adattare l’universo. Tra i lamenti di quelle che non riescono a mutuare la tecnica c’è che gattamorta si nasce. Non è vero. La gattamorta è solo una ragazza che si è vietata il grande autogol della vita: l’innamoramento.
Diventare gattamorta – a parte qualche privazione – è facile.
Natalie Portman ha realizzato il sogno americano della costa occidentale: recitare in grandi film e avere un marito maggiordomo. Ci stava provando anche Angelina Jolie: film scelti, debutto alla regia, adozioni internazionali e beneficenza. Poi il cedimento: a un certo punto si è fissata per il marito di Jennifer Aniston e ora è alle prese con un divorzio insanguinato che sta trascinando tutto nel fango: resterà per sempre quella che ha lasciato Brad Pitt assumendo un crisis manager.
Una gattamorta questi errori non li fa: le piace il successo da solista, quindi si innamora più in basso. La Portman ha sposato Benjamin Millepied, ex ballerino (prima assicurazione matrimoniale: niente droghe e alcol) e fino a poco fa direttore dell’Opera Ballet di Parigi (seconda assicurazione matrimoniale: uno che mette la sveglia e ogni mattina va a lavorare).
Gli sfizi della gattamorta.
La vita della gattamorta non è fatta solo di sacrifici. Dato che il marito non le piace, si procura un allocco che risponde ai suoi messaggi, la cosa va solitamente avanti per anni. Nel caso di Natalie, la vittima è eccellente: il più grande autore americano under 40, Jonathan Safran Foer. La leggenda dice che da sempre Jonathan manifestasse una certa propensione platonica per Natalie, e per frustrazione abbia ripiegato carnalmente su un’altra attrice, Michelle Williams, brava e bella, addirittura bionda, ma non prima della classe.
Jonathan e Natalie continuano a scriversi email da quindici anni, con un identico copione: lui prova a farsi ammirare con i concetti maestosi («Che ne pensi della libertà?», le chiede), lei asseconda e poi spegne le iniziative con varianti della formula «ora ti saluto, arriva mio marito».
La politica anti-gattamorta è sbagliata.
L’abbiamo vista in Closer, apparentemente sconfitta al gioco delle coppie ma vincitrice nella scena finale, la vedremo in Jackie, la donna che sussurra ai politici: Natalie Portman sta provando a spiegarci qualcosa sulla guerra tra sessi. La teoria è questa: se vogliamo accontentarci di pareggiare, allora bastano le ragazze intelligenti. Se invece il femminismo è restituire i torti subiti nei secoli infliggendo infiniti lutti sentimentali per poi sottrarre il primato professionale al maschio vessato, allora bisogna aver cura e sostenere la gattamorta. Anche quella che ci ha rubato il fidanzato – specialmente lei.