Meka Chan, di Claudio Acciari
Bao Publishing 90 pagine, 16 euro
Meka Chan è una ragazza con i superpoteri, che viene da un altro pianeta a visitare un Giappone radioattivo. L’abbiamo sentita mille volte. Ma Acciari la racconta in un modo così morbido, come già suggerisce l’incredibile cappello giallo di Meka Chan in copertina, che il manierismo invece di diventare kitsch o ironico moltiplica la propria dolcezza, la qualità di sogno che si cerca in un cartone di robot e disastri nucleari del novecento giapponese. (Perfino il robot quadrato, con quegli occhi rossi e i colori sabbiati, è dolcissimo marzapane psichedelico).
Claudio Acciari ha lavorato per DreamWorks, è un giovane veterano dell’animazione: era annunciato da tempo il suo primo graphic novel, e cosa ha fatto? Uno storyboard. Ha scelto di raccontare questa storia esattamente come l’ha trovata dentro di sé: ritrarre in tavole minuscole, come degli abbozzi, l’ideale sequenza di scene da disegnare per un ambizioso cartone animato retro che magari un giorno girerà
È un manierismo dichiarato di grande intensità: Acciari – come gli altri quattro – reinterpreta un’altra cultura per arricchire la propria. Come Tarantino arriva a chiedere a Morricone di comporgli lo score perfetto per la scena iniziale di The Hateful Eight, dove si inquadra una carrozza che arranca nella neve, impallata alla nostra visione da un crocifisso in legno nodoso che è tutto Sergio Leone, qui Acciari rifà i cartoni giapponesi aggiungendo una grazia rinascimentale alle intuizioni romantico-paranoiche del materiale di provenienza.
Quaderni giapponesi, di Igort
Fandango Editore 184 pagine, 19 euro
Igort è un maestro della calma narrativa. Il suo libro è una solenne meditazione su quanto nella sua vita ha imparato dal Giappone nei suoi lunghi soggiorni lì, dove non solo è stato tradotto ma è anche entrato nella produzione locale come autore di un manga di fantascienza kawaii (il “kawaii” è il “carino”, lo stesso citato più che adoperato nei disegni di Acciari).
Con un ritmo sciolto, elegante, sincero e alto, libero di saltare di palo in frasca come un Sebald perché il suo stile è tanto sicuro e molteplice da non farlo mai sentire in affanno, Igort racconta i capisaldi della cultura giapponese – dalle stampe tradizionali Ukiyo-e alla perversione dei romanzi di Tanizaki- e ritrae i propri incontri con i grandi del fumetto e dell’animazione, su tutti il maestro Miyazaki. Si imparano tante cose, si connettono il pop e la cultura tradizionale e tutto, dalle palazzine anni Trenta ai pannelli di carta delle camere, dai templi alle pareti di snack nei negozi di alimentari, è riportato in un modo che fa venire voglia di andare su Expedia e comprare un biglietto aereo.
Viaggio a Tokyo, di Vincenzo Filosa
Canicola Edizioni 264 pagine, 18 euro
Mi chiedo cos’abbia provato questo trentenne calabrese quando ha scoperto che anche Igort usciva nel 2015 con un diario giapponese: e invece il suo libro è sorprendente. Per il lettore, poi, conoscere entrambi i diari aumenta il piacere e la scoperta intellettuale in modo esponenziale: la Tokyo affrontata dall’alter ego spelacchiato di VF è persa, tentacolare… Fa venire voglia di comprare un biglietto di ritorno per l’Italia. Il suo protagonista è un adorabile ragazzo italiano che, anche lui per amore dei fumetti, è partito alla rinfusa ed è andato a lavorare come traduttore, per imparare l’arte del fumetto. Più si inoltra in questa città senza vuoti, tutta pieni, più si perde. Di Tokyo Filosa rende benissimo l’accumulo di segni e di segnali che se per un residente è un insieme ordinato e inequivocabile, alla mente del giovane protagonista italiano (sofferente per di più di una insistente forma di – boh! – svarione mentale?) pare un tormentoso indovinello.
Quindi sì, ci sono i karaoke, i localini dove i ragazzi belli si fanno offrire da bere, ci sono i ristoranti con otto coperti e le scene di ubriachezza, ma anche qui, su tutto, c’è l’amore di un artista che vuole imparare il tratto e la filosofia dell’arte del fumetto di un pianeta lontano, ma i suoi incubi personali sono tanto potenti da confondersi con la città e rendere tutto un sogno terribile.
Il ladro di libri, di Alessandro Tota (con i disegni di Pierre Van Hove)
Coconino Press 180 pagine, 17,5 euro
Se il lavoro e la passione hanno portato tre autori in Giappone, altri due sono finiti a Parigi per lavorare come illustratori nel paese europeo che più rispetta il mestiere: Tota e Fior.
Alessandro Tota, autore di un bel libro pugliese come Fratelli (Coconino), dopo un decennio di vita parigina paga alcuni debiti culturali scrivendo una storia di avanguardie letterarie francesi di metà novecento. Se i disegni sono di Van Hove, un suo compagno di co-working (tutto il mondo è partita iva), la cosa sconvolgente qui è con quanta libertà Tota ha messo in parole e azioni quel mondo surrealista che sfidava l’establishment borghese di Sartre e di Temps Moderns cercando la bellezza nella dissipazione.
Si racconta la storia di un ragazzo che rubava libri e studiava giurisprudenza: conteso da forze ideologiche – il ceto medio, il comunismo, la deboscia rivoluzionaria e il salotto culturale – il ragazzo si sveglia ubriaco a bordo Senna, si imbuca alle feste dell’élite, cena con i criminali e fa disfa la vita amorosa nelle chambres de bonne. È incredibile la libertà con cui Alessandro Tota si rivela scrittore letterario e affronta un tema che avrebbe creato complessi a qualunque scrittore italiano della sua generazione (me in primis). Per raccontare quali possibilità intellettuali e vitali si aprivano alla coscienza dei francesi del dopoguerra, tra rivoluzione e benessere (la scelta di non lavorare vista come un impegno attivo, tanto ribolliva di attività l’Europa occidentale), Tota non si impelaga in un vortice di distinguo né fa di tutto per dipingere dei superuomini – i ritmi della giornata e l’avvicendarsi di scenari diversi secondo la classe, il denaro, il potere, e una Parigi tanto vissuta da sembrare un paesaggio più naturale che artificiale… Van Hove ci mette del suo con visioni semplici e stupende, ma Tota è ormai un vero scrittore italiano.