I votanti italiani dell’Oscar si ritrovano al cinema. Ma è sempre più raro: «Ora ti mandano a casa il dvd»
Roma, una sera qualsiasi di gennaio. Escono alla spicciolata da un cinema dietro Via Veneto gruppi di signori cosiddetti distinti, hanno già il loden e il berretto in testa. Sono alcuni dei votanti italiani dell’Academy of Motion Pictures Arts and Sciences, per tutti “l’Accàdemi”, colei che assegna gli Oscar ed è, ogni inverno che Dio manda in Terra, il punto d’arrivo della Awards Season (quest’anno la cerimonia cade il 28 febbraio). Si sono ritrovati a vedere uno dei titoli più attesi della stagione, che alla fine non entrerà nemmeno tra gli otto “migliori film”, ma chi lo sapeva, il buzz era tale che non si poteva mica perderlo.
S’improvvisa un after show e succede tutto in un attimo, non è più la Roma di oggi, ma quella cinematografara di un tempo imprecisato. «Una volta, a una proiezione come questa, sarebbe seguita una festa, sicuro», dice Osvaldo Desideri, premio Oscar nell’88 per L’ultimo imperatore di Bertolucci. Oggi, niente feste e niente cene di gala, niente più terrazze di Scola ma nemmeno di Sorrentino. «Da anni arrivano i dvd direttamente a casa», fa notare l’assistente di un celebratissimo regista non presente questa sera. «Una volta mandavano il librone con tutti i dati sui film, e le schede da rispedire compilate a Los Angeles, ora ciascun giurato ha a disposizione una sessione di una quindicina di minuti in un giorno stabilito per votare tutte le sue categorie. È come fare un bonifico online». Pure la scelta delle singole cinquine si è digitalizzata: «Ai tavoli che si tengono a Hollywood non riusciamo a partecipare», interviene Aldo Signoretti, truccatore tre volte candidato (Moulin Rouge!, Apocalypto, Il divo). «Ci mandano le informazioni necessarie via mail, anche il voto avviene così».
La domanda che tutti ci siamo fatti almeno una volta nella vita: chi vota per gli Oscar? I membri residenti in Italia – su circa 6mila totali – sono al momento 32. Non sono compresi i giurati residenti all’estero come Sophia Loren (vincitrice nel ’62 per La ciociara e nel ’91 per la carriera) e Tony Renis (candidato nel ’96 per The Prayer, tema del cartoon La spada magica). Non esiste un’associazione italiana, tra loro s’incrociano giusto a qualche proiezione riservata. «Ma sono sempre meno, e non è giusto che a Roma non organizzino più nulla», commenta Gianni Quaranta, scenografo premio Oscar 1987 per Camera con vista. «Ho sottoscritto una petizione perché facciano vedere pure a noi qualche film al cinema: specie per le categorie tecniche come la mia, come si fa a notare i dettagli sullo schermo della tv? Per ora siamo in sei, speriamo ci diano retta dall’America». Ma l’America è lontana, cantava il poeta.
La rosa dei giurati è varia e piuttosto âgée, si configura principalmente attorno ai due-tre titoli che hanno strappato più candidature negli anni passati: L’ultimo imperatore, appunto, e poi Il postino e La vita è bella. Si entra nell’Academy di diritto se si è stati premiati o nominati almeno una volta, oppure su invito di almeno due membri già presenti. La storia più bella la racconta Valeria Golino, via FaceTime, da New York: «Era il ’90, abitavo da un anno a L.A., finivo spesso a cena con Jack Lemmon e Walter Matthau perché avevamo lo stesso manager. Sono stati loro a farmi da sponsor, da allora voto e ne vado fiera: la tessera dell’Academy me la tengo stretta». Ride.