Il 675 di North Randolph Street è un moderno palazzo di sette piani dalle grandi vetrate che riflettono il verde del prato antistante. Un edificio come tanti, nel quartiere degli affari di Arlington, Virginia, la città sulla riva Sud del Potomac che fronteggia la capitale degli Stati Uniti, dove hanno sede (oltre al famoso cimitero militare) i quartieri generali del Pentagono, della Dea e di altre agenzie-chiave per la Difesa della maggiore potenza planetaria. «Mi spiace, niente visite, non facciamo tour. Giornalista? Sta scherzando?». Alla reception del 675 sono molto gentili, mostrano una punta di ironia, ma restano inflessibili. Perché qui si trovano gli uffici della Defense Advanced Research Project Agency, la DARPA, una delle agenzie più segrete e più importanti nella storia contemporanea degli Stati Uniti.
La grande maggioranza degli americani non sa nemmeno che esiste, e anche nel variegato mondo dei complottisti in servizio permanente effettivo pochi conoscono le sue attività. Eppure è nei suoi laboratori supersegreti – anche se su internet gira qualche leggenda di troppo – che per oltre mezzo secolo sono stati messi a punto progetti e programmi che hanno rivoluzionato l’industria scientifico-militare (dando agli Usa un vantaggio strategico incolmabile) ma che hanno avuto anche un impatto incredibile sulla nostra vita quotidiana. Basti pensare ad Arpanet (il progenitore della Rete), a internet o ai primi programmi di realtà virtuale.
Idee, ricerche, programmi e sviluppo di invenzioni che sembrano uscite da un libro di fantascienza e che grazie a investimenti per miliardi di dollari sono spesso diventate realtà. Armi letali per una guerra del futuro, ma in realtà già iniziata, che assomiglia sempre di più a un videogame: potenti microprocessori di ultima generazione, intelligenze artificiali, droni acquatici e microscopici dispositivi da impiantare nel corpo umano per creare un’interfaccia tra nervi e organi vitali.
Qualche esempio tra i più recenti? Il sottomarino senza equipaggio (Actuv) in grado di individuare sottomarini nemici anche a grandi profondità con un radar particolare a medio e lungo raggio. Lo scudo anti-virus per l’Internet of Things, ultima evoluzione nell’uso della Rete in cui gli oggetti si rendono riconoscibili e diventano “intelligenti”. Il Gps atomico, vale a dire l’uso della fisica atomica per individuare luoghi e posizioni: se si riesce a misurare o capire come l’accelerazione del campo magnetico terrestre e la posizione abbiano effetto sui singoli atomi sarà possibile navigare senza satellite. Il Rapid Threat Assessment (Rta, valutazione tempestiva delle minacce), un programma che accelera la velocità con cui ricercatori e medici possono capire in che modo malattie e agenti patogeni uccidono gli esseri umani. Per Arati Prabhakar, la donna di origine indiana che dirige la Darpa dal 2012, il programma «permetterà, entro trenta giorni dall’esposizione di una cellula umana, di mappare il meccanismo molecolare completo attraverso il quale un agente minaccia e altera i processi cellulari».
Il progetto Long Range Anti-Ship Missile, avviato nel 2009, ha invece come obiettivo quello di costruire un’arma in grado di centrare (e distruggere) una nave che si trovi anche a una distanza impossibile in mezzo all’oceano, senza dover usare il Gps o tecnologie simili. Un missile super intelligente che, una volta lanciato da un caccia-bombardiere, insegue il bersaglio evitando ogni ostacolo, durante il volo e sulla superficie del mare. Buoni i primi test (fatti tra il 2014 e il 2015), dovrebbe essere operativo nel 2018.
Attività e storia della Darpa sono tra i segreti meglio conservati nel mondo parallelo delle agenzie di sicurezza americane. Ma le notizie non mancano: sul sito ufficiale sono spiegati nei dettagli programmi, scelte e finanziamenti. È da poco uscito un libro, The Pentagon’s Brain (Little, Brown and Company) in cui la giornalista Annie Jacobsen racconta «senza censure» la storia dell’agenzia iniziata alla fine degli anni Cinquanta, quando alla Casa Bianca c’era ancora Dwight “Ike” Eisenhower e la Guerra Fredda era al suo apice. Nella corsa allo spazio i sovietici avevano superato gli Stati Uniti e in quella agli armamenti (bombe all’idrogeno, aerei-spia e via dicendo) stavano raggiungendo la quasi parità. Fu allora, nel 1958, che su spinta del Pentagono e con finanziamenti crescenti Washington decise che sarebbe rimasta sempre all’avanguardia, anni o decenni più avanti degli altri.
Il colonnello Geoffrey Ling, in pensione dopo aver combattuto in Afghanistan e Iraq, oggi guida il Biological Technologies Office (bto) della DARPA e nonostante la segretezza intorno all’agenzia ha raccontato alla rivista scientifica Nature il futuro visto dagli scienziati-militari: un mondo in cui le persone vivranno ben oltre le aspettative di vita odierne; in cui l’attività della mente umana potrà essere «scaricata» in un hard disk per valorizzare l’intelligenza artificiale e robotica; in cui sofisticati aerei potranno essere guidati con il solo pensiero. Fantascienza? Più no che sì a giudicare dai programmi che nei prossimi anni sarano messi a punto nei vari laboratori che dipendono e collaborano con la DARPA.
Ling ne è convinto e, visto che in questo momento è l’uomo che più di ogni altro lavora per rendere questo tipo di fantascienza una cosa reale, forse va preso sul serio. Neurologo per formazione, a capo del Bto della DARPA dalla fondazione (aprile 2014), guida alcuni tra i più ambiziosi progetti dell’agenzia. Come quello sull’exoskeleton, il soldato di un futuro già presente, una macchina-armatura indossata da un umano che funziona grazie a un sofisticato impianto di motori idraulici e pneumatici. Stando agli ultimi test sarebbe pronto già a combattere, ma per il momento non è ancora mai stato usato su un vero campo di battaglia. Roba da guerrafondai? Non proprio, visto che la stessa sofisticata macchina viene già sperimentata per usi civili: per pompieri e altri corpi di salvataggio che operano in situazioni estreme, per sale operatorie in cui servono strumenti di altissima precisione, oppure per il semplice aiuto alle infermiere di un ospedale che assistono malati pesanti e difficili da gestire.
È dagli anni Cinquanta, ancora prima che la DARPA venisse creata, che il Pentagono si occupa di intelligenza artificiale, ma è solo da poco tempo che scienziati e neurologi sono arrivati a quella che sembrava un’ipotesi impossibile: la chiave dell’intelligenza artificiale si trova all’interno dello stesso cervello umano. Ecco dunque lo studio per un rivoluzionario brain chip, questo sì ultra-segreto: il Progetto Top che ha come obiettivo finale quello della mappatura del cervello.
Il punto di partenza, ancora una volta, è legato ai militari. Negli Stati Uniti ci sono due milioni e mezzo di americani che hanno servito come militari o contractors in Iraq e in Afghanistan, e 300mila di loro sono tornati a casa con lesioni cerebrali traumatiche. Per riparare questi danni, la DARPA ha avviato una serie di programmi in grado di aiutare a recuperare le funzioni cognitive. Il più avveniristico e audace è quello che prevede un chip da impiantare all’interno del tessuto del cervello.
Quando, il 2 aprile 2013, il presidente Barack Obama diede l’annuncio che lanciava la Brain Initiative, una grande ricerca pubblico-privata «per sviluppare e applicare innovative tecnologie sulla conoscenza del funzionamento del cervello umano», gli esperti del National Institute of Health passarono mesi a definire un piano strategico decennale prima di iniziare a distribuire i primi, pochi fondi per questa ricerca. In quello stesso periodo di tempo la DARPA riuscì a trovare 50 milioni di dollari per programmi destinati a durare la metà del tempo, cinque anni. Uno di questi (Restoring Active Memory) punta a creare un «apparecchio di stimolo» che ridia ai soldati la possibilità di ritrovare la memoria dopo aver subito un danno al cervello. Un altro, chiamato Subnets (System-Based Neurotechnology for Emerging Therapies), sta sviluppando un impianto in grado di curare «sette disordini mentali e neurologici». Per tutti e due i progetti sono stati selezionati malati di epilessia la cui attività cerebrale viene monitorata da una serie di elettrodi temporanei impiantati nel cervello per registrare l’attività degli attacchi.
Nel libro di Jacobsen non mancano critiche al lavoro dell’apparato scientifico-militare della DARPA, ma l’impatto che le sue scoperte hanno avuto sul mondo di oggi – ed è facile prevedere anche su quello del futuro – fanno giustizia di qualsiasi atteggiamento prevenuto. Come ha raccontato la stessa autrice in una delle presentazioni del libro, «è vero, molte cose della DARPA non si conoscono perché sono classified, ma ci sono anche molti altri progetti “aperti” altrettanto sconosciuti». I vaccini, per esempio: «Normalmente ci vogliono circa nove mesi per produrre e commercializzare un nuovo vaccino», ha detto Jacobsen, «un tempo decisamente lungo quando arriva un’emergenza. La DARPA ha raccolto la sfida ai tempi del virus H1N1, la peste suina. Nel 2013, nei suoi laboratori, l’agenzia è riuscita a creare 10 milioni di vaccini nel giro di un mese».