L’uomo che ha riportato Milano nel “giro che conta” dell’arte contemporanea saluta tutti e se ne va in America, destinazione Minneapolis. Vincenzo de Bellis, dal 2013 alla guida della fiera miart – scritto così, rigorosamente in minuscolo –, sarà il nuovo curatore del dipartimento Visual Arts del Walker Art Center, tra le più celebri realtà museali degli Stati Uniti. «Ora sembrerà che lo dico perché ci vado a lavorare», spiega sorridendo, «ma se in passato mi avessero chiesto con quale istituzione avrei voluto collaborare, sicuramente avrei parlato del Walker. Sono molto onorato, perché a livello mondiale questo museo gode di un rispetto enorme. Faccio due esempi che aiutano a capire: il MoMa di New York ospita oggi una retrospettiva di Marcel Broodthaers? Il Walker l’ha allestita nel 1989; ed è proprio qui che è stata presentata al pubblico americano la nostra Arte Povera, con una grande esposizione nel 2001. Pur essendo decentrato da un punto di vista geografico, stiamo parlando di un polo culturale imprescindibile nel campo della creatività contemporanea».
Incontriamo de Bellis nel caffè di un albergo milanese poche ore prima che la notizia venga annunciata in America e, contestualmente, rilanciata in Italia. Lui è molto contento, presissimo dalle questioni da sbrigare, consapevole che di questa faccenda si parlerà molto, anche perché tutto succede quando mancano due settimane all’apertura della fiera, in programma dall’8 al 10 aprile. «Non è dipeso da noi, i tempi sono stati dettati dal Walker», racconta. «Spero che tutti siano contenti per me. Certo, tenere il segreto è stato un disastro! Qualche telefonata l’ho già fatta, non tutte quelle avrei voluto, e so che molti rimarranno di sasso. In questo mondo siamo tutti egocentrici e spesso un po’ permalosi, e poi ce n’è qualcuno che lo è più degli altri…». Gli chiediamo se si sia confrontato con Massimiliano Gioni – che lui conosce bene –, altro talento cresciuto sulla scena di Milano e oggi direttore del New Museum di New York: «Lui sa che c’è qualcosa in ballo, ma non sa di che cosa si tratta; non perché non abbia voluto, ma non siamo riusciti a parlarne. Ci sono cose che vanno spiegate a voce, non bastano le mail. Avrei voluto confrontarmi con lui, ma per questioni molto pratiche non ci sono riuscito. Entrambi troppo impegnati. Lo sentirò appena si sveglia».
Qualche cenno biografico sul personaggio. Nato nel 1977 a Putignano (Bari), laureato in Storia e critica del cinema all’Università di Lecce, de Bellis si è formato come curatore alla Sapienza di Roma e al Bard College di New York. Ha lavorato alla Fondazione Prada, alla galleria GAMeC di Bergamo, al Museion di Bolzano. È approdato alla guida di miart dopo aver dato vita all’associazione no-profit Peep-Hole, spazio indipendente votato ai nomi emergenti, ora nelle mani della moglie-collega Bruna Roccasalva – i due hanno un figlio di tre anni. Ama il calcio ed è un tifoso piuttosto sfegatato del Bari, culto che condivide con il fratello-gemello Giuseppe (vice-direttore de Il Giornale e direttore di Undici, un periodico bimestrale dedicato al mondo del pallone). Tra gli scrittori preferiti cita Mordecai Richler. Adora la buona cucina.
Molto celebrata, la sua parabola è storia nota. Quattro anni fa, con l’aiuto di un team di giovani collaboratori, ha preso in mano una miart con le ruote sgonfie e alla disperata ricerca di un rilancio; l’ha rimessa in piedi, le ha conferito un’adeguata dimensione internazionale, ha ampliato il suo perimetro sollecitando l’attenzione non solo di galleristi e collezionisti, ma anche di un pubblico più vasto, quel variegato ambiente “social” attratto da tutto ciò che fa creatività e tendenza. Il risultato è che, oggi, la mostra-mercato di Milano è diventata quel che si dice un “evento”, con un notevole coté cultural-mondano a far da contorno. Così come è accaduto con Artissima e Torino, l’appuntamento ha sviluppato un network di relazioni che ha coinvolto l’intera città e le sue realtà più dinamiche, sia pubbliche che private. Ora attorno a miart si articolano iniziative speciali, aperture straordinarie e altre iniziative; un po’ come succede con il Salone del Mobile, di cui questa nuova “art week” – in calendario ogni anno pochi giorni prima dell’avvio della grande festa del design – è una sorta di antipasto.
«Miart ora è percepita come un’istituzione che fa da collettore di persone e progetti e che amplifica le manifestazioni che animano la città», aveva detto al Sole 24 ORE lo scorso anno; adesso, davanti a un caffè e a una spremuta, alla vigilia del grande annuncio, chiarisce. «La città si è trasformata negli ultimi anni ed Expo ha giocato un ruolo fondamentale, ha accelerato i cambiamenti; ma quello che ai fini del nostro lavoro ha avuto il maggior peso è stato il passaggio generazionale che ha coinvolto istituzioni e centri culturali. La disponibilità a collaborare per far succedere qualcosa di significativo qui da noi è, ora, totale. Penso alla Fondazione Trussardi con Massimilano Gioni, ad Andrea Lissoni e Vincente Todolí all’HangarBicocca, all’arrivo di Edoardo Bonaspetti alla Triennale, al Comitato scientifico del Pac… Ci chiamiamo, parliamo, senza logiche burocratiche. L’HangarBicocca, solo per fare un esempio, regola il programma espositivo per inaugurare le sue mostre il giorno prima dell’opening di miart. Anche il rapporto con il Comune è ottimo: l’Assessore alla Cultura, Filippo Del Corno (nato nel 1970, ndr), supporta ogni nostra iniziativa».
De Bellis racconta che il primo contatto con i vertici dell’Walker Art Center l’ha avuto lo scorso maggio, alla Biennale di Venezia; ci sono poi stati altri incontri, tra cui un paio di viaggi a Minneapolis e la visita degli americani a Ennesima, esposizione multipla da lui curata alla Triennale tra 2015 e 2016, una mostra-esperimento costituita da sette percorsi d’indagine autonomi sugli ultimi cinquant’anni di arte italiana: «Loro sono stati molto colpiti dall’utilizzo di un meta-linguaggio applicato al lavoro curatoriale; così come sono stati attratti dall’approccio interdisciplinare che ha contraddistinto Peep-Hole, con le commissioni agli artisti, le iniziative editoriali, il programma di conferenze». All’interno del nuovo staff, de Bellis avrà un ruolo specifico: «Mi occuperò delle grandi mostre e delle personali realizzate in collaborazione con altre istituzioni, sia americane che internazionali. Stiamo parlando di un grande centro, capace di offrire al pubblico cinque mostre contemporaneamente». Ma anche il resto della città è vivace, racconta: «È molto più cosmopolita di quanto si possa pensare. Ha un’università piena di ricercatori, è iper-liberal, è attenta agli sviluppi della nuova architettura, con il Guthrie Theater disegnato da Jean Nouvel e con lo stesso Art Center firmato Herzog & de Meuron». Il lavoro inizierà tra qualche mese: «Non prima dell’estate; siamo ancora in ballo per il visto, ma ho già trovato casa e la scuola per mio figlio».
Prima, comunque, c’è sempre miart, che per il 2016 ospita 154 gallerie provenienti da 16 Paesi diversi. «Con la fiera i rapporti sono stati sempre molto buoni e trasparenti. Gli accordi erano chiari: avevamo stabilito un impegno triennale… Ma nessuno si aspettava risultati così importanti. Comunque, già dallo scorso anno abbiamo impostato il lavoro in modo diverso e più articolato, anche in vista di un passaggio di testimone; e la nomina di un vice-direttore (Alessandro Rabottini, che alcuni già indicano come suo successore, ndr) va in questa direzione. Io comunque sono solo il volto più conosciuto di una squadra molto competente a cui vanno i giusti meriti, a partire da Emanuela Forlin (Exhibition Manager dell’evento, ndr). Per me questo nuovo incarico è una specie di ritorno: io vengo dai musei, non dal mondo del mercato, e ho sempre avuto il desiderio di tornare a quello che facevo; non ne ho mai fatto mistero». Un bilancio? «La cosa che mi è venuta meglio – ed è quella che mi riesce meglio in assoluto – è creare il contesto. E per un evento come miart, o hai il mercato (e penso alla fiera di Basilea), o hai il contesto. In Italia la crisi si è fatta sentire e ha penalizzato soprattutto il comparto dell’arte contemporanea, quindi il nostro lavoro è stato molto più difficile da portare avanti; ma questa fiera, ora, esiste. Non dico certo che è la migliore, ma è sulla mappa. E fa parlare di sé».