Francesco Faccin ha lavorato con Enzo Mari. Un anno, nel 2003, dopo gli studi allo Ied di Milano. E il maestro era così disfattista sul futuro del design, che il discepolo pensò che forse era meglio diventare un bravo artigiano. E così si mise a bottega da Francesco Rivolta, liutaio e modellista. «Facevamo modelli architettonici in legno per Tadao Ando, Giorgio Grassi, Eduardo Soto de Moura. Lì ho imparato a pensare con le mani, a costruire prima di progettare», ricorda oggi Faccin, milanese, classe 1977. Nel 2009, un incontro importante, quello con Michele De Lucchi, per raggiungere il punto di equilibrio tra le due esperienze, progettuale e artigianale: «Lui è come me». Faccin è oggi direttore artistico della Fonderia Artistica Battaglia, storico laboratorio di Milano che dal 2013 ospita anche il centro d’arte contemporanea Peep-Hole di Vincenzo De Bellis.
Faccin è un designer in fonderia. Quasi per caso, come si dice. Ma il caso non esiste, si forgia con le proprie mani. E le mani sono importanti in tutta questa storia. La forgiatura, no. La Fonderia Artistica Battaglia fa fusioni a cera persa, lo stesso processo con il quale sono nate le statue dell’antichità greca e che i sussidiari delle elementari raccontano introducendo l’aggettivo “refrattario” al vocabolario scolare. Si crea un modello di cera, lo si ricopre di argilla refrattaria, resistente al fuoco, appunto, lo si cuoce in modo che la cera si sciolga e nello stampo ottenuto si cola il bronzo fuso, cioè rame e stagno in proporzioni armoniche. «Il procedimento è uguale, dai tempi degli etruschi», spiega lui.
Francesco Faccin inaugura il 9 aprile la sua personale Bronzification alla Fonderia Artistica Battaglia (con testi di Maria Cristina Didero): in mostra fino al 18 aprile sei pezzi della sua Serial Planks, la collezione di arredi creata a partire dalla ripetizione modulare di un’asse in bronzo in diverse composizioni, replica (pesante) di un pezzo in legno di larice lungo 150×7 centimetri. Il progetto è un’esclusiva della milanese Nilufar Gallery e, durante il Salone, al Nilufar Depot – il grande spazio che la galleria di via della Spiga ha in via Lancetti – verranno esposti anche un tavolo e una consolle realizzati con lo stesso metodo: «Le combinazioni sono tali che si può creare qualcosa praticamente su misura». Certo, non per tutti: «Il tavolo è grande: 3×1 metri. Pesa 350 chilogrammi, quanto un tavolo da biliardo. Chi compra oggetti del genere deve fare i conti con questo peso».
Nonostante il lungo pedigree di artisti che dal 1913 «hanno fuso in Battaglia», come recita l’epigrafe, «negli ultimi anni c’è stata una decadenza dell’uso del bronzo nell’arte», racconta ancora Faccin. È passata l’epoca dei Wildt, dei Manzù, dei Pomodoro, dei Martini. Giuseppe Penone, Velasco Vitali e Kengiro Azuma producono ancora, ma si sono aperte praterie anche in altri settori. L’art design, per esempio, quello dei pezzi unici, delle gallerie, dei collezionisti. Ne è prova la sempre maggiore attenzione che gli appuntamenti internazionali dedicano a questa nicchia: Miart, ad esempio, la fiera milanese d’arte contemporanea, ha uno spazio dedicato all’art design dal 2013: Object. E quest’anno ha chiamato a selezionare gallerie e progetti la curatrice del design del Maxxi di Roma, Domitilla Dardi. Risultato? Due tra i nomi presenti in fiera hanno «fuso in Battaglia»: lo Studio Formafantasma e Roberto Baciocchi, l’architetto dei negozi di Prada, che espone tre vasi e una lampada, l’Écorce collection presentata con la Galleria Nero. «Il grande collezionista oggi forse spende 50 o 100mila euro per un tavolo – spiega Faccin – più che per un quadro. Se una certa arte sta virando molto sulla decorazione, per riempire salotti e giardini, chi ha potere d’acquisto investe più volentieri su oggetti belli che può usare oltre che ammirare. Il design è rivalutato. Oggi Mark Newson è battuto milioni di euro».
La crescente attenzione del mercato per l’art design ha spinto Matteo Visconti di Modrone, il presidente della Fonderia Artistica Battaglia – «uno che veniva dal lavoro in acciaierie da 500 dipendenti» precisa oggi Faccin – a cercare qualcuno che potesse avvicinare la Fonderia a quel mondo. «Ed è così che due anni fa mi ha chiamato». Insieme, dopo alcune prove e un grande lavoro di studio, hanno varato il progetto Terzista Editore di cui Serial Planks è il primo lavoro, l’archetipo, il numero zero emblematico del meccanismo. «C’è una prima parte attiva della Fonderia, quella editoriale, in cui selezioniamo e chiamiamo designer under 40-45, già conosciuti ma ancora agli inizi della carriera. Con loro produciamo i primi tre pezzi: il designer mette il progetto e la Fonderia le sue conoscenze tecnologiche e di ingegnerizzazione. Con i pezzi in mano il designer va poi a cercare una galleria disposta a venderglieli. Nina Yashar di Nilufar, per esempio, mi ha commissionato il tavolo e la consolle: quello è stato il primo ordine fatturato dalla Fonderia in questo progetto. E ha avuto inizio la seconda fase, quella più da terzista, in cui viene realizzato il pezzo richiesto, punto». Sono stati coinvolti in questo “circolo virtuoso” i già citati Formafantasma, Alvaro Catalán de Ocón e Lex Pott.
Francesco Faccin ammette che prima dell’avventura a cera persa, non ne sapeva molto di fusioni. Di cera qualcosa, forse, visto che lo scorso anno ha realizzato Honey Factory, le arnie urbane collocate nel giardino della Triennale di Milano presentate allo scorso FuoriSalone e che per tutta la durata dell’Expo hanno prodotto miele e cera, appunto. Ora le hanno richieste a Seul e in Danimarca. «Sono attratto dai progetti di cui non so nulla. Quelli più belli sono quelli che partono da zero: permettono la contaminazione di due punti di vista lontani. Se già so, invece, sono condizionato».
Quali nuove sorprese per il futuro? «Mi ha contattato un’azienda di Trento che da cinquant’anni fa arredi sacri. Stiamo pensando a una serie di oggetti popolari, che possano anche uscire dalla chiesa, per essere a disposizione della comunità, religiosa e non». Un designer in chiesa, la serie continua.