Tra le aperture a lungo attese e poi posticipate, rimandate e infine eccole quella che più ha scherzato con gli irrefrenabili istinti cannibaleschi della comunità del food si iscrive sotto l’insegna di “Antica Pizza Fritta da Zia Esterina”. È la pizza fritta del celebrato pizzaiolo napoletano Gino Sorbillo: tre sedi a Napoli e ora, finalmente, quella di Milano, in via Agnello, alle spalle, signorile, la Piazza San Fedele; in avanti a pochi passi il sempre più oscuro Corso Vittorio Emanuele.
Sgomberiamo immediatamente il campo da dubbi e reticenze: la pizza fritta di Gino Sorbillo è buona. Di più, a 3 euro e 50 centesimi qualsiasi combinazione vogliate scegliere – al momento sono cinque: la completa con prosciutto cotto oppure salame (in sovramercato portate a casa la formidabile dicitura retrò “salame nazionale”), quella con i cicoli campani (altrimenti noti come “ciccioli”), quella con solo pomodoro San Marzano, ricotta (o provola) e pepe, e la “Segreta”, che in quanto tale rimane così com’è anche su questa pagina – dicevamo, a 3 euro e 50 al pezzo la lancetta del rapporto valore per esborso si impenna decisamente in favore del primo.
Il locale al contrario non è che sia poi questo granché: un minuscolo cubicolo con cucina a vista senza possibilità d’appoggio per l’astante, ma è ben animato da una sorridente quadriglia di gentili pizzaioli che farciscono, chiudono e infine friggono e servono (c’è anche un bizzarro schermo che riprende live le manovre di riempitura del disco di pasta, noncurante che le suddette manovre si possono tranquillamente osservare anche a occhio desnudo).
Detto questo, e nient’affatto augurandoglielo, tutt’altro, la pizza fritta di Sorbillo così com’è a Milano sarà un flop. Perché? Tre motivi.
- Perché “Pizza fritta” già dal nome mmmm, non è esattamente la quintessenza della milanesità. Qui è un problema sia “pizza” sia “fritto”: non è che mettendoli assieme – o uno contro l’altro – i termini si elidano generando nuovi significati, ad esempio “aria” “fresca” o “leggerezza” “mattutina”. “Pizza fritta” rimane “pizza fritta”: hardcore
- Perché a Milano non siamo abituati a circolare con un arnese in mano lungo una banana e mezza e largo come un vecchio vhs, una sorta di baionetta grondante olio, provolone e pomodoro incandescenti, che se lo addenti schizza molecolarmente a raggera rischiando di trascinare te e i posteri in sanguinose cause di risarcimento danni solidi e morali ai famigliari dell’avvocato d’affari appena sbucato da piazzetta Liberty che hai centrato perfettamente nell’occhio chiudendoglielo per sempre.
- Perché poco allevia quel vassoio da 24 paste su cui te la poggiano avvolta da 15 centimetri di carta alimentare impregnata fino all’ipotetico settimo velo, sempre una baionetta fritta rimane, e anzi peggio, barcamenarsi sotto il monumento al Manzoni in quello stato, con un quadernone Pigna di grasso colante spalancato sotto il mento alla moda di certe signore prendisole nella Costa Azzurra dei ’70 mentre lapilli infuocati di provola anticipano, seguono e intervallano il tuo incedere sempre più incerto. Anche questa, mi dispiace, non è un’esperienza esaltante
P.S. Peraltro, Sorbillo caro, ma ci sono già 25 gradi fuori, ma che cosa mi apri il pizzafritta adesso. Cos’è, 20 luglio impegnato?