In fondo a via Savona, lasciata alle spalle la Milano dell’ex Ansaldo e delle grandi maison della moda, si aprono le file di bassi edifici industriali della fu Schlumberger, azienda belga di strumenti di precisione. Qui piante, biciclette e ragazzi con gli occhiali in tartaruga tradiscono la rinascita del luogo, comune a tanti siti produttivi italiani: studi di architettura, design, una scuola di moda. «Siamo stati tra i primi ad arrivare. Noi e il modellista Mindert de Koningh. Eravamo a Venezia, nella fabbrica dei biscotti Colussi. Abbiamo comprato qui nel 1996 e l’anno dopo ci siamo trasferiti», raccontano Marc e Paola Sadler, coppia nella vita e nel lavoro. Lui, francese nato in Austria, è un designer industriale da quattro Compassi d’oro, che fanno capolino incorniciati e appoggiati a terra in un angolo del suo studio-atelier-officina. Non sembra mai essere al riparo dalle idee che nascono, anche mentre parliamo. Lei bilancia la conversazione: «Stare a Milano era più pratico».
Al Salone del Mobile del mese scorso hanno presentato un po’ di progetti: «Non abbiamo una lista», sorridono. Uno dei più interessanti è in ceramica, ma non è un vaso. È il mobile Persil, realizzato per l’azienda trevigiana Bosa: «Il nome vuol dire prezzemolo: è un complemento che si può mettere un po’ dappertutto», spiega Sadler. «È componibile, con un elemento base su cui si aggiungono vani e piani, nelle varianti bianco, colorato e oro. Con Italo Bosa ci conosciamo da trent’anni: all’epoca avevo lo studio ad Asolo. Lui produceva formelle per le stube austriache. Riesce a fare prodotti tecnicamente complessi, come questo». Anche Jelly, sempre per Bosa, è una lampada con diffusore orientabile in ceramica. «Si tratta di un materiale riciclabile, storico e già popolare, oggi considerato costoso e obsoleto. Ma è molto bello. Certo, è difficile pensare che torni per la massa», interviene Paola.
Tra gli altri prodotti di quest’anno, la collezione Bank, una serie di valigie in alluminio disegnata per la Fabbrica Pelletterie Milano, con il baule speciale Workstation che si apre e ha all’interno una scrivania, con tanto di sedia, cassetti e prese elettriche, per lavorare ovunque. La sedia impilabile in polipropilene Nassau per Metalmobil. Il divano Milos e la poltrona Koster: due imbottiti per la trevigiana Désirée. La sedia Bi 20’s per Infiniti. La riedizione della lampada a terra Twiggy per Foscarini «che era stata progettata con un fornitore che faceva canne da pesca». La lampada Ghost per Simes: un vano illuminato dentro al muro, che si crea direttamente col getto di cemento, nel momento in cui si costruisce la stanza; la confezione contiene infatti uno stampo, non un oggetto finito.
Il lavoro a fianco degli artigiani, dei “terzisti”, è ricorrente nel racconto di Marc Sadler: «Artigiano è una parola limitativa: è in realtà un esperto con un’attrezzatura moderna. Uno che spesso ti dice: “Mah, provemo, femo”». L’imitazione del dialetto veneto è perfetta. «Per la lampada Ghost ho fatto gli stampi in Veneto: ho lavorato con alcuni stampisti con cui producevo scarponi da sci». Sadler per un certo periodo, tra gli anni 70 e 80, era diventato il designer delle scarpe sportive. Non solo aveva legato il suo nome ai primi scarponi da sci in materiale termoplastico commercializzati dalla Caber e poi all’avventura della Lotto (creata nel 1973 da Giovanni Caberlotto, fondatore della stessa Caber ceduta poi a Spalding) di cui disegnò anche il marchio: negli anni 80 era in America a progettare scarpe (e ciabatte) per Ellesse e Nike.
«La fase dei consumer goods è lontana. In Italia ho trovato un mondo industriale unico al mondo, di grande qualità». La grande conoscenza del tessuto produttivo del nostro Paese è appassionata ed esigente. Nell’artigianato il designer ha trovato terreno fertile, un punto di partenza: «Tutto il resto è marketing. Il lavoro con l’artigiano, come quello con il cliente, è un processo: ci si stuzzica. Fino a trovare l’alchimia». Il momento è promettente, per spingere certi limiti un po’ più in là: «Con la crisi – spiega Paola – molte aziende hanno dimostrato una grande capacità di fare ricerca: se non sono fallite si sono modernizzate, rinnovate».
Se i Compassi d’Oro Sadler li ha guadagnati con le lampade Drop (Flos, 1994), Tite e Mite (Foscarini, 2000), la libreria Big (Caimi Brevetti, 2008) e il banco gelato Bellevue-Panorama (Ifi, 2014), uno dei prodotti a cui è più legato è il paraschiena progettato per Dainese, la «tartaruga» per chi va in moto prodotta a partire dal 1994: «Ricevo ancora lettere di gente che mi ringrazia perché con quell’oggetto gli ho salvato la vita», racconta. Una perfetta raffigurazione di quello che per Marc e Paola Sadler deve essere il design: «La risposta a un bisogno. Uno strumento a servizio di un’esigenza», all’interno dei limiti della produzione in serie. «È importante che non sia solo poesia. Certo, così è difficile creare il proprio segno riconoscibile»: il designer quasi scompare di fronte alla funzione. Nel vecchio sito della Schlumberger, il fato industriale non poteva serbare niente di diverso.