Cleveland ain’t no San Francisco, e non c’è neppure bisogno che la doppia negazione rafforzi l’assunto, facilmente intuibile. Da subito, da quando si sale a bordo del treno che dall’aeroporto porta in centro città, downtown Cleveland. Sono otto fermate, sette delle quali assolutamente immerse nel nulla: le porte del vagone si aprono e chiudono davanti a paesaggi identici, desolati e un po’ stranianti, tanto che viene da chiedersi da dove vengano e dove vadano le poche persone che salgono e scendono dalle carrozze. Poi, attraversato un ponte, l’ottava fermata è di colpo Tower City – Public Square, ovvero il cuore di Cleveland, la cui skyline appare improvvisa.
Consiste in: due grattacieli, Key e Terminal Tower, una serie di palazzoni anonimi, lo stadio di baseball e, più piccola, la Quicken Loans Arena, casa dei Cleveland Cavaliers — mentre stadio di football e Rock and Roll Hall of Fame, principale attrazione locale, rimangono sulle sponde del lago, invisibili dalla prospettiva di ingresso in città.
La costruzione più imponente, la Key Tower, alta 290 metri, ospita al suo interno anche l’hotel/quartier generale Nba, punto di partenza dell’itinerario di avvicinamento al palazzo dei Cavs. Appena fuori dalla hall, in una strada laterale, un panorama con tre auto accartocciate tra loro e una quarta completamente rovesciata fa temere il peggio. Falso allarme: è solo il set di una scena di Fast & Furious 8, blockbuster atteso in sala non prima dell’aprile 2017, con Charlize Theron a unirsi a un cast già molto ricco, da Vin Diesel a Michelle Rodriguez. L’ambientazione dovrebbe essere newyorchese, ma — maligna qualcuno — la desolante tranquillità delle strade di qui permette forse alla produzione di girare senza neppure dover bloccare il traffico (quale traffico?!?). Il grido «Action!» fa decollare il drone per l’immancabile ripresa aerea ma dà idealmente anche il via alla breve passeggiata — non più di un quarto d’ora — verso il luogo della partita. La vicinanza permette anzi subito una piccola deviazione, appena oltre Public Square, per ammirare il gigantesco billboard sponsorizzato che raffigura LeBron James. Il n°23 dei Cavs è di spalle, con la scritta CLEVELAND al posto del proprio nome sulla maglia di gioco, impegnato ad abbracciare idealmente tutta la (sua) città. Obbligatoria foto di rito — è lo stesso billboard che nella prima versione aveva reso popolare lo slogan We Are All Witnesses — e via, si punta verso Euclid Avenue. L’urlo «Oh my God, I can’t believe I’m Michael Jackson» attira l’attenzione su un ragazzo di colore in jeans e t-shirt che alle parole fa seguire un moonwalk indiavolato sulle note di Thriller. Ha ragione lui, non è facile crederci (e credergli), ma c’è chi lascia lo stesso qualche moneta in due barattoli gialli con la scritta TIPS.
Girato l’angolo si imbocca la East 4th Street, cuore nevralgico di downtown Cleveland — se non fosse che si allunga per 200 metri ed è già finita. Da CLE Clothing Co., appena imboccata la via, si trovano le più belle t-shirt in città. Alla cassa vicino all’ingresso c’è il curioso adesivo I LIKED CLEVELAND BEFORE IT WAS COOL (…), mentre aggirandosi per gli scaffali si scopre che l’orgoglio locale — WEAR YOUR PRIDE, è lo slogan del negozio — convive con una giusta dose d’ironia, perfetta per stampare sulle maglie scritte come CLEVELAND. IT’S NOT THAT BAD. HAVE A BEER! o per fare i conti con problemi di identità evidentemente mai risolti (CLEVELAND, WE’RE NOT DETROIT).
Seguono ristoranti su entrambi i lati — da uno di questi il network sportivo Espn trasmette live il prepartita, tra l’entusiasmo dei tifosi wine&gold — e una serie di sports bar dove chi non ha il biglietto per la gara si ritrova attorno ai tavoli per mangiare, bere, ancora bere e tifare in compagnia. Attraversata la strada e un grande parcheggio — 50$ per lasciare l’auto il giorno della gara — si arriva at the Q, come chiamano qui la Quicken Loans Arena. A sponsorizzare il palazzo è un’azienda che rivendica con orgoglio l’aver fatto comprar casa a oltre due milioni di americani, ovviamente aiutati e incentivati da adeguati prestiti. Dan Gilbert, il CEO dell’azienda in questione, è anche il proprietario dei Cavs, uomo del Michigan proprietario di gran parte della downtown di Detroit (ha iniziato ad acquistare terreni, proprietà e palazzi nel 2010, non si è ancora fermato oggi che ne conta più di 80). In ambito sportivo, però, i suoi quindici minuti di fama li ho ottenuti nell’estate del 2010, facendosi ridere dietro dal mondo intero per aver vergato una lettera aperta — in comic sans! — indirizzata a LeBron James, sulla scia del presunto tradimento della superstar dei Cavs, colpevole di abbandonare Cleveland per «portare i suoi talenti a South Beach». Da allora il figliol prodigo James è tornato a casa — con due anelli Nba alle dita, vinti in maglia Miami Heat — e ha fatto pace con Gilbert, che però continua a far parlare di sé per una personalità a dir poco esuberante.
Su un lato dell’arena un’illustrazione con i volti dei 13 protagonisti in maglia Cavs accompagnati dalla scritta BELIEVE è presa d’assalto da fan in posa per i selfies di rito, mentre l’asfalto delle strade tutto attorno al palazzetto è decorato a terra da due slogan molto popolari tra i tifosi. DEFEND THE LAND il primo, indirizzato ai “cavalieri” di Cleveland, cui segue l’immancabile ALL IN 216, che gioca coi numeri dell’area code locale, ideali anche per descrivere le incandescenti sfide di questo giugno 2016 (two-sixteen) tra Warriors e Cavs.
Dovessero spuntarla questi ultimi, sarebbe il primo titolo Nba nella storia della franchigia, il primo titolo di una squadra professionistica di Cleveland negli ultimi 52 anni (dai Browns del 1964, campioni nel football quando ancora il Superbowl non si chiamava Superbowl) e la fine di una autentica maledizione sportiva. La peggiore tra quelle di tutte le città Usa, parola del New York Times.