Antefatto breve
La Spagna vota il 20 dicembre 2015 e il Psoe raccoglie il 22,01% dei voti (90 seggi), il peggior risultato della sua storia. A vincere le elezioni è il Partido Popular del premier uscente Mariano Rajoy con il 28, 71% dei voti pari a 123 seggi in Parlamento. Seguono i nuovi entranti Podemos con il 20, 66% e 69 seggi e Ciudadanos con il 13,93% e 40 scanni
Mariano Rajoy rinuncia a tentare di formare il Governo, Pedro Sanchez ci prova ma fallisce: “las Cortes” di Madrid vengono sciolte, si ritorna dagli elettori
La Spagna rivota il 26 giugno 2016 con il PP che guadagna voti attestandosi al 33,03% pari a 137 scanni e il Psoe che continua l’emorragia elettorale: nuovo minimo storico a 22,66% e 85 seggi. Terzo Podemos (in realtà “Unidos Podemos”) con il 21,1% e 71 seggi; quarto Ciudadanos con il 13,05% e 32 seggi
Ed è proprio qui, in questo secondo dopo-elezioni, nell’arco dei tre mesi che intercorrono dal 26 giugno a oggi, che il “guardameta” Pedro Sanchez si esibisce in cinque formidabili parate a tutto campo e contro qualunque avversario. Eccole:
1
Il giorno successivo alle elezioni, il 27 giugno, il leader del PP nonché primo ministro in funzione Mariano Rajoy propone a Sanchez una “grande coalizione” per il Governo della Spagna elettoralmente frammentata. «Mai con Rajoy, mai con il PP: noi siamo l’alternativa di cambiamento al Partito Popolare», lo fulmina Sanchez. Punto e basta: parata semplice, quasi didattica.
2
Arriva Pablo Iglesias, furente il giusto per non aver agguantato quel “sorpasso” elettorale sul Psoe cui Podemos pareva destinato, ma buon–visista–a–cattivissimo–gioco quanto basta per mantenere la promessa elettorale e offrire ai socialisti la tanto agognata “coalición de izquierdas”. Sanchez non trema: memore del grande “No” podemita alla sua investitura giusto poche settimane prima, prevede l’insidioso moto rivoluzionario del tiro a cucchiaio di Iglesias – che in effetti tutto quel che vorrebbe è ridurre alla marginalità politica il Psoe – esibendosi plasticamente in una parata che ricaccia entrambi – pallone e Pablito – ben lontani in tribuna.
3
Ecco farsi avanti gli innominabili: i temibili indipendentisti catalani. Per mezzo del deputato di “Esquerra Republicana de Catalunya” Joan Tardà (un mix tra Roberto da Crema e un mediano dell’Olanda del calcio totale ma con una favella parlamentaria tanto esilarante quanto straordinariamente efficace) arriva l’offerta: «Se dai ai catalani il referendum per l’indipendenza, ci sommiamo a Podemos e ti eleggiamo Presidente del Governo». Risposta di Sanchez: «Nemmeno per sogno: mai con gli indipendentisti». Dunque altra opposizione secca del leader del Psoe, e anche il tiro scivoloso “soberanista” è rispedito al mittente.
4
È il turno del suo alleato di solo qualche settimana prima, Albert Rivera di Ciudadanos, il leader politico «tranquillo e sensato», l’uomo con cui Sanchez ha stretto un accordo di Governo su 150 punti condivisi, l’uomo che dialoga con tutti o quasi. Arriva Rivera quindi, e gli appoggia un tiretto morbido, difficile da rifiutare: «Pedro – lo prega Albert – Ciudadanos ha appena chiuso un accordo di investitura (non di Governo) con il PP sulla base di 100 dei nostri cari 150 punti. Ora, so che hai detto “mai con Rajoy”, però qui si tratta di evitare le terze elezioni in un anno, una figuraccia ignobile per la classe politica che qui dovremmo rappresentare: che ne dici di far astenere il tuo partito, sbloccare l’intoppo e far governare il PP mentre Ciudadanos e Psoe si mettono sui banchi di un’opposizione attiva?» (in Spagna con un decimo dei deputati si propone una “Moción de Censura” che, se approvata, fa cadere il Presidente del Governo, ndr). Pedro però non sente, ormai è in completo furore agonistico: eccolo esibirsi in un carpiato rovesciato di rara carpietistica bellezza e più non dimandando liquida anche Rivera.
5
Siamo finalmente al capolavoro balistico, la super-parata che fa assurgere Sanchez laddove stanno solo i grandi della specialità: gli Yashin, i Buffon, i Casillas. Il Segretario del Psoe, con una scorpionata degna del miglior Renè Higuita, in un solo colpo para l’intero elettorato del Partito Socialista spagnolo. I suoi stessi elettori, che lo hanno pesantemente bastonato alle autonomiche basche e galiziane di domenica, lunedì si sentono recapitare il seguente messaggio: «Non mi avete votato, al diavolo il Governo di Spagna!» Sanchez non solo non decide di farsi da parte dopo la terza debacle elettorale consecutiva favorendo questo benedetto Governo del PP, ma addirittura rilancia: indìce un comitato federale per sabato, il quale dovrà votare la convocazione nientemeno che di un Congresso per stabilire chi dovrà essere il leader dei socialisti spagnoli, se lui o qualcun altro. Se approvato, i militanti voteranno le primarie il 23 ottobre per poi interrompere il processo fino alla prima settimana di dicembre, quando i delegati sceglieranno i membri degli organi di direzione e approveranno il progetto politico del nuovo Psoe. Il tutto a ridosso della probabile terza tornata elettorale che verrà celebrata nella seconda metà di dicembre, e con il solo obiettivo di guadagnare tempo da qui al 23 ottobre, provare a portare a casa la sua velleitaria idea di accordo di investitura Psoe-C’s-Podemos (idea esclusa a più riprese sia da Ciudadanos sia da Podemos) e quindi riguadagnarsi la Segreteria del Partito con una settimana di anticipo sulla deadline del 31 ottobre, data in cui, senza Governo, “las Cortes” saranno sciolte per la seconda volta consecutiva. Insomma, una grandissima parata, questo sì, ma forse più che a un portiere bisognerebbe pensare a Pedro Sanchez come a un incredibile paralizzatore
Ironie a parte, ogni singola decisione di Sanchez avrebbe potuto incontrare il favore in analisi se fosse stata presa con in mente una strategia successiva. Invece no, a ogni mossa non segue quasi mai nulla, è lettera morta, politica breve, sguardo cortissimo. Quando dice no al PP e a Ciudadanos, no anche all’astensione, e afferma infinite volte di essere contrario a terze elezioni, ci si aspetterebbe il colpo di scena: il raggiungimento di un qualche accordo sottobanco. E invece nulla, dopo non c’è mai nulla. È un tennista unico al mondo, da colpo secco: lui colpisce, se l’avversario gli rimanda la palla indietro fa sempre punto. Ecco, la politica non è esattamente il regno della stoccata e via.