Prima il nuovo album, “Skeleton Tree”, e ora il film 3D “One More Time with Feeling”, nelle sale italiane per soli due giorni: 27 e 28 settembre. Lutto, processo creativo, l'indicibile umano: l'appuntamento è imperdibile
Nella scena più forte del film di Andrew Dominik su Nick Cave One More Time with Feeling, la moglie Susie Bick regge un quadro che il figlio Arthur dipinse quando aveva 5 anni. Raffigura il luogo in cui il ragazzo sarebbe morto dieci anni dopo, precipitando dalla scogliera di Ovingdean, a Brighton. Lei, così superstiziosa, non si dà pace per avere scelto ai tempi una cornice nera. Sta in piedi, elegante e bellissima e fragile. Poggia il quadro sul tavolo e intanto lotta per trattenere le lacrime. Il marito sembra volere allungare la mano, poi la ritrae. Glielo leggi in faccia che vorrebbe far qualcosa, dire una parola, compiere un gesto, ma nulla può arginare quel dolore. Di fronte alla verità di questa scena svanisce l’idea che l’ultimo album di Cave Skeleton Tree racconti la morte del ragazzo, che sia una specie di atto terapeutico. «Non penso che il film o le canzoni l’abbiano aiutato a lenire il dolore», ha detto Dominik. L’enorme buco creato dalla morte di un figlio non lo riempi con un disco. Pensarlo è consolatorio. Di fronte al nulla, la musica s’affanna a trovare le parole, e poi tace.
Questo ci dice One More Time with Feeling, nelle sale italiane il 27 e 28 settembre, forse la prima pellicola della storia in 3D in bianco e nero. Ci dice che Skeleton Tree non è un diario. Intanto spiega che l’album è stato scritto prima della tragedia avvenuta nel luglio 2015, tanto da spingere il cantante e la moglie a parlare di carattere profetico delle canzoni incentrate su morte, perdita, amore, dolore, su una caduta dal cielo e su domande a Dio che rimangono inevase (ciò non toglie che qualche cambiamento potrebbe essere stato fatto successivamente). Testi che prima dell’incidente sembravano spazzatura, questo dice Cave, improvvisamente risplendono di verità e bellezza. E poi il film spazza via la retorica sull’arte che salva e consola che abbiamo dispensato noialtri critici, giornalisti e blogger dopo la pubblicazione di Skeleton Tree, una mano sul cuore e gli occhi a compulsare i testi alla ricerca di riferimenti alla morte di un ragazzo, in un grande esercizio collettivo di empatia. Per scrivere c’è bisogno di spazio, afferma Cave, proprio lo spazio che gli eventi traumatici occupano con violenza. Quand’è così estremo e definitivo, il dolore non alimenta il processo creativo. Lo danneggia.