Gli A Tribe Called Quest sono l’afrocentrismo, il black power, il jazz. Un fuoco di black culture che ha sradicato i precetti machisti e maschilisti dell’hip-hop mostrando un nuovo modo di pensare e di esibirsi al microfono. La street music che ripercorre il mondo afroamericano con soste nelle isole caraibiche. Un’estetica sonoro/visiva che parte da New York per un percorso a ritroso nella blaxploitation, nel middle passage, dritto al panafricanismo. Dal 1990 al 1993, gli ATCQ pubblicano tre pietre miliari del genere Peoples Instinctive Travels and the Paths of Rhythm, The Low End Theory e Midnight Marauders. Qui nasce il suono della Tribe: strumentali smooth con campionamenti ricercati e strumenti avvolgenti, ricamate sui fitti scambi lirico-jazzisti dei due rapper Q-Tip e Phife Dawg.
The Tribe has been perfected
oh yes, it’s been selected, the art makes it protected
Afrocentric living, Africans be givin
a lot of cause, cause the cause has been risen
We Got it From Here… Thank You 4 Your Service è l’album che i fan dell’hip-hop aspettano da diciotto anni. E sarà l’ultimo album della Tribe. Durante le sue registrazioni è venuto a mancare Phife Dawg, dopo oltre vent’anni di lotta al diabete. Ma il risultato non è un disco triste. Non è un memoir. E nemmeno la colonna sonora di un pugno di vecchie glorie tornate a riscuotere il conto rimpiangendo i tempi andati.
We Got it From Here racconta l’America. Parla del Black Lives Matter, di Obama, di Trump. Unisce il fuoco di protesta degli esordi alla consapevolezza e all’esperienza guadagnata, il suono della Tribe alle collaborazioni con Jack White e Elton John. È un album che suona come un classico; un instant classic. Dopo venticinque anni, Q-Tip e Phife Dawg graffiano ancora, condividendo il microfono con i soliti amici e pesi massimi del rap come Busta Rhymes, Andre3000, Kanye West, Jarobi, Talib Kweli, Anderson Paak e Consequence.
Per ricreare la magia della golden age (e delle collaborazioni della Native Tongue), Q-Tip ha preteso che il disco venisse composto nel suo appartamento-studio nel New Jersey. Il continuo scambio di rime è un bacino di riflessioni sociali («Niggas in the hood living in a fishbowl / Gentrify here, now it’s not a shit hole»), prese di posizione forti («It’s time to go left and not right / gotta get it together forever / gotta get it together for brothers, gotta get it together for sisters / for mothers and fathers and dead niggas»), timori per la nascente politica trumpiana («Move with the fuckery / Trump and the SNL hilarity / Troublesome times kid, no times for comedy»).
Q-Tip e Ali Shaheed Muhammad (dj/producer del gruppo) sono afroamericani musulmani, Phife Dawg è figlio di immigrati caraibici. Brani come Space Program, We The People… e The Killing Season sono istantanee sulla comunità black di oggi. Slogan che suonano come pugnalate per gli ultimi venticinque anni di aggregazione. Il ritornello di We The People… è un iconico quanto spaventoso riassunto della campagna elettorale di Trump,
All you Black folks, you must go
All you Mexicans, you must go
And all you poor folks, you must go
Muslims and gays, boy, we hate your ways
So all you bad folks, you must go
Con questo disco finisce la golden age del rap americano. Con una pietra miliare in ritardo di vent’anni sulla tabella di marcia. La Tribe lascia un testamento, chiude un’era e passa il testimone alla nuova generazione dei vari Joey Badass, Earl Sweatshirt, Kendrick Lamar, J. Cole («Talk to Joey, Earl, Kendrick and Cole, gatekeepers of flow / they are extensions of instictual soul»). La direzione da seguire è già stata indicata da Q-Tip in Excursions, l’opening track del magnifico The Low End Theory, «all the way to Africa aka The Motherland».
Ora è compito dell’hip-hop continuare nella giusta direzione, “we got it from here, thank you for your service”.