Non diventerà la filiale in pieno centro cittadino della sede di Porta Romana, né una vetrina di quanto allestito negli spazi di quell’antica distilleria ridisegnata magnificamente da Rem Koolhaas; sarà uno spazio autonomo, dedicato a un nuovo campo di indagine, concepito per integrare la già corposa proposta culturale offerta dalla Fondazione Prada. Il nome, ci racconta Astrid Welter, Head of Programs dell’istituzione milanese, «è il frutto di un confronto durato a lungo, che ha portato a una short list di cinque possibili soluzioni; alla fine, “Osservatorio” ha messo tutti d’accordo: evoca il tema della conoscenza e dell’indagine e richiama direttamente il mezzo espressivo di cui vogliamo occuparci». Fondazione Prada Osservatorio, infatti, parlerà di fotografia, e lo farà assecondando quello stesso spirito di ricerca e di testimonianza con cui la «casa madre» – nella felice espressione impiegata en passant da Welter – esplora gli altri ambiti dell’arte contemporanea: «Anche se non mancheranno escursioni nel passato, non presenteremo nomi e lavori che il pubblico può trovare nei musei oppure alle aste. La fotografia è un genere che piace molto, grazie alle tecnologie digitali la gente ne produce e consuma in continuazione. A questo pubblico noi vogliamo offrire le espressioni più avanzate e consapevoli della produzione visiva dei nostri giorni»
Lo spazio espositivo (apertura mercoledì 21 dicembre) si affaccia sull’Ottagono della Galleria Vittorio Emanuele II, proprio di fronte al negozio fondato nel 1913 da Mario Prada – nonno di Miuccia –, lì dove l’avventura della casa di moda è iniziata. Occupa il quinto e sesto piano dell’edificio che in passato ha ospitato McDonald’s, e che Prada si è aggiudicato nel 2011, tramite bando comunale, battendo la concorrenza di Apple: in basso, la boutique dedicata all’uomo; in mezzo, i dolci di Marchesi nel locale inaugurato a settembre (Prada ha acquisito lo storico marchio di pasticceria nel 2014); in alto, gli 800 metri quadrati disposti su due livelli destinati all’Osservatorio. «Per il restauro, eseguito in accordo con la Sovrintendenza, abbiamo preservato i materiali impiegati durante la ricostruzione seguita ai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, in un’epoca di ristrettezze economiche che non consentiva lavori di pregio», ricorda Welter. «Mantenendo il più possibile gli ambienti nel loro stato originario, penso che abbiamo raggiunto un risultato di grande suggestione. Gli ambienti sono proprio a ridosso della grande cupola in vetro e ferro che sovrasta la Galleria, mentre in basso la Galleria si stende ai tuoi piedi come un tappeto». Un osservatorio, appunto.
La prima mostra in cartellone è Give Me Yesterday, a cura di Francesco Zanot: più di cinquanta opere, firmate da 14 autori internazionali e italiani, per esplorare l’uso della fotografia come diario personale in un arco di tempo che va dall’inizio degli anni Duemila a oggi. «Una nuova generazione di fotografi impegnati a investigare il proprio universo privato è cresciuta parallelamente alla proliferazione di piattaforme digitali basate sulla condivisione di immagini», ha spiegato Zanot. «Nelle loro mani, il diario fotografico non è più pura registrazione dei fatti nel rispetto delle regole dello stile documentario, ma frutto di una continua messa in scena». Ecco, allora, gli autoritratti sintetici e surreali della giapponese Izumi Miyazaki; gli scatti domestici di Tomé Duarte nei panni – reali – dell’ex compagna; oppure le Polaroid realizzate da Irene Fenara, concentrata a ritrarre le persone a lei care a distanze variabili, corrispondenti all’intensità del loro rapporto.
L’integrazione ideale tra Osservatorio e Fondazione avrà un risvolto pratico nel biglietto d’ingresso, che sarà unico (10 euro il costo del ticket intero) e permetterà l’ingresso alle due sedi entro 7 giorni dall’emissione, in una sorta di auspicato “effetto traino” facilitato anche da considerazioni logistiche. «Sono sulla stessa linea di metropolitana, a poche fermate di distanza l’una dall’altra», chiarisce Welter. «In alternativa c’è il tram, il 24, oppure si può sempre pensare di fare il tragitto a piedi, visto che in linea d’aria sono solo 2 chilometri e mezzo». Per farlo, bisogna attraversare il ponte che scavalca lo scalo di Porta Romana, parte dell’anello ferroviario che attraversa la città e che è al centro di un grande progetto di riqualificazione pubblica ancora da mettere a punto; una scenografia urbana che si potrà abbracciare con lo sguardo, in tutta la sua interezza, una volta terminati i lavori dell’ultimo tassello architettonico della Fondazione: la torre a nove piani sfalsati destinata a ospitare le collezioni d’arte dell’istituzione. Le impalcature hanno già liberato la facciata sul retro, ma l’apertura – annunciata per la prossima primavera, in concomitanza con il Salone del Mobile – non avverrà prima di settembre, rivelano in Largo Isarco: «Sarà bellissimo», racconta Welter: «Da fuori è imponente, un monolite bianco con molti affacci sulla città; dentro invece gli ambienti sono più raccolti, con piante di 230/240 metri quadrati per piano. La curiosità e l’attesa verranno ripagate». Intanto, per il 2017, si lavora al nuovo programma di eventi espositivi, che comprenderà una mostra curata da Francesco Vezzoli sull’epopea della televisione italiana negli anni Settanta, una rassegna sul cinema tedesco nella sede veneziana della Fondazione, a Ca’ Corner della Regina, e una riflessione multidiscipliare sul tema del Nulla, annunciata da Miuccia Prada in un’intervista all’Espresso e di cui, sorride la Head of Programs, «non possiamo dire nulla».