Fa l’obiettore di coscienza nell’ultimo film di Mel Gibson, “La battaglia di Hacksaw Ridge” e il missionario in “Silence” di Scorsese. La parentesi di Spider-Man è già archiviata
Alla fine calzare la tuta di Spider-Man gli ha un po’ spezzato il cuore. Perché ci credeva: era il suo supereroe preferito. Ma in una grande produzione «non sempre la storia e il personaggio sono in cima alle priorità», ha confessato di recente. Tanto, è acqua passata. Andrew Garfield è stato il ragno mascherato targato Sony per due film, The Amazing Spider-Man 1 e 2, senza realmente riuscire a scalfire l’originale del trio Tobey Maguire, Kirsten Dunst, James Franco. Aveva già firmato per il terzo, ma non se n’è fatto nulla: nel 2015 i diritti sono tornati alla casa madre Marvel, pronta a rilanciare il figliol prodigo con le ragnatele nel rutilante mondo degli Avengers.
Garfield ha tirato dritto per la sua strada. Lasciata anche Emma Stone, la Mary Jane rebooted, si è dato ad altri tipi di fede. A 33 anni, era inevitabile. O forse consigliato. Martin Scorsese lo ha scelto per impersonare Sebastião Rodrigues, padre gesuita in viaggio con il confratello Adam Driver nel Giappone delle persecuzioni ai cristiani del XVII secolo. Il film del maestro, Silence (uscito il Italia il 12 gennaio), è il primo dal 2002 (se escludiamo l’esperimento di Hugo Cabret) senza Leonardo diCaprio. Poi Mel Gibson gli ha affidato il medico avventista Desmond Doss in La battaglia di Hacksaw Ridge (in uscita il 9 febbraio). Obiettore di coscienza, per la sua fede si rifiuta di portare armi e salva 75 uomini a Okinawa. Il ragazzo che faceva il mimo in Parnassus (2009) di Terry Gilliam ed Eduardo Saverin in The Social Network di David Fincher (2010) è andato in guerra ed è tornato vincitore: e il vecchio Mel ha già distribuito urbi et orbi la sua battuta passepartout: «È stato un vero supereroe»