I Gorillaz sono l’unica vera band del nuovo millennio. E per esserlo, non devono esistere. Questa è l’idea del folle progetto di Damon Albarn e Jamie Hewlett, iniziato nel 2001 con lo strabiliante esordio Gorillaz. 2D, Murdoc, Noodle, Russel, i personaggi disegnati dal fumettista Hewlett, stanno per tornare con un disco nel primo 2017. Un nuovo lavoro dei Gorillaz è sempre stimolo per l’ambiente musicale, garantendo scrittura di nuovi capitoli del rapporto tra musica e immaginario, pop e underground, narrazione e composizione. In quindici anni la personalità dei personaggi si è evoluta dalla matita alla terza dimensione grazie all’oculato rilascio d’interviste (da web cult come Highsnobiety a blog per amanti dei gatti), a esibizioni rare come il live (da ologrammi) ai Grammy, a pubblicazioni di monografie grafiche sul profilo Instagram della band. Il tutto rimanendo brutti, sporchi, cattivi. Ma anche progressisti, ambientalisti, eco. Cool, senza esserlo. Passati sei anni da Plastic Beach, ultimo vero album (concept ambientato su un’isola formata dalla plastica buttata nell’oceano), la band ha iniziato una strategia web di contro-comunicazione che prevede iperpresenza online dopo il lungo periodo di silenzio. Oltre alle trovate a effetto, però, i Gorillaz fanno grande musica: singoli appiccicosi ed esperimenti sonori. A renderli affascinanti è la capacità di spostare l’alternative pop britannico in territori esotici, facendosi aiutare dagli ospiti più disparati (in Plastic Beach si passa da Snoop Dogg a Lou Reed, da Mick Jones e Paul Simonon dei Clash alla National Orchestra For Arabic Music). Una commistione di generi ricalcata in campo grafico dall’evoluzione delle tecniche di disegno utilizzate da Hewlett. L’ultimo brano ufficiale dei Gorillaz è DoYaThing, collaborazione con André 3000 e James Murphy nel 2012, per Converse. Per ora le dichiarazioni ufficiali scarseggiano, mantenendo il nuovo disco nel mistero. Cosa aspettarsi? Beh, probabilmente l’impensabile.