Certo, la capitale della Renania Settentrionale–Vestfalia (no, non è Colonia) è famosa per la Kunstakademie, che ha sfornato alcuni tra gli artisti più conosciuti degli ultimi vent’anni. Ma la cosiddetta “Scuola di Düsseldorf” è solo la punta dell’iceberg: grandi investimenti pubblici e sorprendenti iniziative private si intrecciano per rilanciare una città ingiustamente sottovalutata, e che ha invece molto da offrire
La mecca della fotografia
New York, Parigi, Londra, Milano: le capitali della fotografia sono note a tutti. Ma c’è una città che risveglia in ogni appassionato della materia un istinto profondo e in qualche modo incontrollabile: nominate Düsseldorf a qualsiasi amante della fotografia d’autore e noterete nella sua espressione un subitaneo cambiamento, sottile ma molto significativo. Probabilmente sarà un lieve sorriso, e avrà comunque a che fare con qualcosa di piacevole, la sensazione di intima soddisfazione per aver toccato un tasto segreto ed essere entrati in modalità iniziatica; potrebbe però anche manifestarsi una componente di malcelato fastidio, come una perturbazione dello spirito, la conseguenza di un ricordo sopito, il riaffiorare di una memoria volontariamente sepolta.
A chi invece Düsseldorf fa venire in mente solo un enorme complesso fieristico (o Fritz Lang e magari, perché no, i Kraftwerk) basti sapere che è qui, nella classe (e alla corte) di Bernd e Hilla Becher, che si è formata la generazione di artisti–fotografi più celebrata e di maggior successo degli ultimi vent’anni. Thomas Struth, Andreas Gursky, Thomas Ruff, Candida Höfer, solo per citare i soliti noti, hanno tutti frequentato il corso della Kunstakademie istituito nel 1976 dai due compianti pionieri dell’arte fotografica contemporanea (le cui celebri “Typologien” gli hanno valso, oltre a un premio Hasselblad e un Leone d’Oro alla Biennale d’arte di Venezia, anche il premio Erasmus, che condividono, tra gli altri, con personalità del calibro di Schumann, Chagall, Chaplin, Bergman, Lévi–Strauss, Yourcenar, e il nostro Renzo Piano).
Per quanto ambivalenti possano essere i sentimenti del “photography–addicted”, il piccolo centro sul Reno—in realtà settimo per popolazione in Germania—rappresenta comunque una sorta di Mecca della fotografia, la città da vedere almeno una volta nella vita, e l’idea di visitarla può facilmente assumere l’aura del pellegrinaggio. L’invito dell’Ufficio del Turismo di Düsseldorf a partecipare alla sesta edizione del Photo Weekend è giunto quindi quanto mai gradito, un’occasione imperdibile per rendere omaggio a questa pressoché sconosciuta capitale della fotografia.
Un continuum spazio–temporale
Sorta nel XII secolo presso l’attuale confine olandese della Renania Settentrionale–Vestfalia (a proposito: il Tour de France 2017 partirà proprio da qui il prossimo 1° luglio, e per l’occasione i Kraftwerk, che alla Grande Boucle hanno dedicato un album nel 1983, terranno nella loro città natale un concerto gemellato coi francesi Air), Düsseldorf fu duramente colpita dai bombardamenti alleati durante la Seconda Guerra Mondiale, e quasi tutto quel che vediamo è il risultato della veloce crescita economica partita quando, nel 1946, la città strappò alla vicina Colonia l’elezione a capitale dello Stato federale (cosa che ha acuito la secolare rivalità, declinata anche su base carnevalesca, con la ben più famosa città d’arte).
Christina Kallieris, che sarà la nostra guida per i prossimi due giorni, ha l’entusiasmo di una storica dell’arte che ama il proprio lavoro e, in un inglese perfettamente british, ci guida con stile quasi televisivo fino alla Wehrhahnlinie, la nuova linea della metropolitana inaugurata un anno fa e costata più di 800 milioni di euro. Ognuna delle sei nuove fermate è stata affidata a un diverso artista, che le ha interpretate con materiali simili ma lavorazioni personalizzate. A tenere insieme tutto il progetto è però il cosiddetto “Continuum”, un pattern di cemento regolarissimo e poi improvvisamente distorto che sembra creare delle deformazioni spazio–temporali nelle pareti delle stazioni. Christina, che ne parla con un tono da science–fiction distopica, sembra particolarmente eccitata da questo effetto ottico e decisamente fiera dell’ennesimo passo avanti nella crescita della città. La cosa che più colpisce l’occhio del visitatore è invece la totale assenza di pubblicità all’interno delle stazioni: essendo considerate opere d’arte pubblica, è previsto infatti che qui dentro la logica commerciale non possa mettere piede.
A corollario di quest’esempio di amministrazione illuminata della cosa pubblica, sbuchiamo nei pressi dell’altro grande investimento degli ultimi anni, quel Kö–Bogen commissionato a Daniel Libeskind e che ora, con una suadente onda di vetro e travertino da un lato e una facciata dritta e magistralmente disegnata dall’altro, segna in modo deciso il confine tra la zona commerciale e l’Hofgarten (il parco nato nella seconda metà del settecento attorno al canale Düssel—da cui la città prende il nome—e che è niente meno che il più antico spazio di verde pubblico in Europa). Il progetto originale prevedeva che una cascata di piante ricoprisse nel tempo il lato che affaccia sul parco (così come dovrebbe scurirsi, nello stesso tempo, il colore del travertino), in modo da ottenere anche qui un effetto di continuità tra le due forme di cultura urbana, quella spiccatamente ecologica e quella più prettamente commerciale; ma pare che alcuni dei marchi che hanno preso in affitto gli enormi spazi del complesso abbiano boicottato l’idea per paura che l’esposizione dei loro prodotti venisse compromessa, e una squadra di potatori è attualmente all’opera per arginarne gli effetti. È ad ogni modo qui che Apple ha scelto di posizionare il suo nuovo luogo di culto, con l’enorme e bianca mela morsicata che campeggia nella vetrata che dà sulla Schadowplatz.
All models are beautiful
È dopo aver attraversato il parco che ci appare improvvisamente per la prima volta, enorme, neo–rinascimentale, rossa e bianca di mattoni e neon: è la Kunstakademie, a sua volta luogo di culto e baluardo culturale. L’ingresso è sul lato corto, in modo da lasciare quello esposto a settentrione alle grandi finestre degli atelier d’artista, quella del Nord essendo la luce migliore per la pittura e l’arte in generale. E grande è la delusione nel dovercela lasciare velocemente alle spalle: nonostante tutta la rinomanza artistica della città ruoti attorno a questa scuola (dove hanno insegnato anche Richter, Polke e Beuys, che oltre a qualche “multiplo” sparso ha lasciato alla città un ricordo del suo black humor sulla parete esterna del brutalista e per questo odiato Kunstverein), il nostro programma è di una rigidità molto germanica, e la prossima tappa è indiscutibilmente l’NRW Forum, dove hanno appena inaugurato le due mostre principali del Photo Weekend.
Il curatore Ralph Goertz ci introduce a The Women On Street, una strana combo tra Garry Winogrand e Peter Lindbergh basata sul confronto tra Women Are Beautiful, strepitoso e originalissimo corpus del grande street–photographer americano, e un lussuoso esperimento auto–commissionato del celebre fotografo di moda tedesco. Malgrado il tema comune (le donne e la strada) e l’uso del bianco e nero, più che le similitudini a saltare all’occhio sono le profonde differenze di approccio e risultato, con Winogrand che vince a mani basse quella che nelle intenzioni di Goertz non era nemmeno una sfida ma più che altro un semplice e ben strutturato dialogo. E se di Lindbergh l’unica cosa chiara è che il suo lavoro avrebbe potuto intitolarsi All Models Are Beautiful, di Winogrand abbiamo il piacere di vedere non solo la serie originale completa, ma anche molti inediti a colori, scansionati e stampati in esclusiva per questa mostra, che rivelano un perfetto distillato di Eggleston, Meyerowitz, Shore e, paradossalmente, perfino Cindy Sherman.