Angela Merkel ha paura dei cani e Vladimir Putin lo sapeva bene quando, nel 2007, durante un incontro a Sochi, chiamò il suo labrador nero Koni e lo mandò ad accogliere la cancelliera tedesca. I labrador non sono animali temibili, ma la paura dei cani non è razionale, così Merkel si lasciò annusare terrorizzata da quella bestia allegra sentendosi addosso gli occhi divertiti del capo del Cremlino. Una volta uscita dal vertice, salva ma scossa, chiacchierando con alcuni giornalisti Merkel commentò: «So perché l’ha fatto: per dimostrare che è un uomo. Ha paura delle sue stesse debolezze. La Russia non ha niente, non ha successi politici, non ha successi economici. Tutto quel che ha è questo».
Se c’è una cosa che Merkel non ha mai temuto è il machismo, ma non è nemmeno diventata una testimonial delle donne al potere: semplicemente la questione femminile non è tra le sue priorità, non si interroga su che reazioni ci sarebbero se lei fosse un uomo, si accontenta di essere soprannominata “Mutti”, la mamma di tutta la Germania. Strada facendo ha fatto fuori molti maschi forti, però, occasioni politiche colte senza alcun ammiccamento, trame private e colpi assestati pubblicamente. Il più famoso dei suoi assassinii politici è quello di Helmut Kohl, che per anni l’aveva chiamata «la mia ragazza» e che, durante lo scandalo dei finanziamenti alla Cdu della fine degli anni Novanta, si ritrovò pubblicato un commento firmato dalla «mein Mädchen»: Kohl se ne deve andare, scrisse la Merkel, altrimenti il partito non potrà mai ripartire. Kohl non si riprese mai da quella «serpe coltivata in seno», Merkel non s’è mai levata di dosso l’immagine di traditrice innamorata del potere, ma la sua ascesa è iniziata così, in mezzo ai sospetti per questa donna dell’Est, laureata in chimica quantistica, divorziata, risposata e senza figli.
Anche con Gerhard Schröder, vigoroso cancelliere socialdemocratico, Merkel utilizzò il trattamento riservato ai machi. Alla prima corsa elettorale per la cancelleria, nel 2005, Merkel di fatto pareggiò con Schröder, che usciva da sette anni di governo e che aveva recuperato sul finale di campagna il suo svantaggio. Fu uno choc per la Cdu, e soprattutto per la candidata cancelliera, che usciva da lotte di potere feroci dentro al partito e che sapeva di non avere chance di sopravvivenza in caso di sconfitta. Ci fu un dibattito in tv, dopo il voto, per discutere sul da farsi. Schröder era gasatissimo, parlava e parlava, si accaniva sulla Merkel e ripeteva: continuerò a fare il cancelliere. La candidata della Cdu imbambolata taceva, i commentatori sostenevano che fosse tramortita, e spacciata. Ma sul finale, quando ormai lo show sembrava tutto per Schröder, Merkel riprese vita: «Per metterla in modo semplice: non hai vinto tu», disse rivolta a Schröder, «con un po’ di tempo anche i socialdemocratici accetteranno la realtà. E vi assicuro che non ci saranno ribaltamenti delle regole democratiche di questo Paese». Due mesi dopo, la Merkel giurava come prima cancelliera donna della Germania.
Nelle tante biografie che sono uscite sulla «donna venuta dall’Est», spesso antipatizzanti, ci sono alcuni punti fermi: dalla vita sotto il regime della Germania dell’Est, Merkel ha imparato tre cose. A muoversi con estrema cautela, perché i movimenti bruschi erano puniti dalle autorità. S’è a lungo parlato della «strategia dei piccoli passi» della cancelliera, anche con un certo disprezzo, ma la definizione di uno dei suoi biografi, Dirk Kurbjuweit, coglie più nel segno: Merkel adotta la «strategia del silenzio», con rigore da scienziata. Ascolta, valuta, si fa un’opinione, non la esprime, agisce di conseguenza, infine espone la sua teoria. Il processo appare lungo e laborioso, ma molti dicono che in realtà lei decida in fretta: il resto è diplomazia, tattica da moglie perfetta, che sa far credere all’uomo che sia lui a scegliere.
Sotto al regime della Germania dell’Est, Merkel ha anche imparato a non scappare: ebbe l’occasione di restare ad Amburgo, sua città natale (ci visse soltanto qualche settimana, poi il padre andò nell’Est, a Templin) quando a metà degli anni Ottanta ottenne il permesso di andare al matrimonio di una parente. Una volta di là, molti non tornavano, Merkel aveva un patto con sua mamma Herlind: se riusciamo a passare di là andiamo al Kempinski a mangiare le ostriche. Ma non si fermò, tornò a casa: ha raccontato che sognava anche lei la vita dell’Occidente, ma che avrebbe aspettato i sessant’anni, sarebbe andata a consegnare il suo passaporto dell’Est, ne avrebbe chiesto uno dell’Ovest, e si sarebbe trasferita in California. «Questo era il mio piano, ma tutto è avvenuto un pochino prima»: Merkel ha ora quasi 63 anni ed è la star europea del mondo libero, sotto al regime imparò a dare un peso straordinario alla libertà, ed è questo il (terzo) punto fermo della storia di Merkel, la dedizione nei confronti della libertà. Non c’è biografo, commentatore, reporter che non dica che l’ispirazione di tutte le politiche della cancelliera tedesca sia un liberalismo coltivato nell’assenza di libertà, diventato oggi il collante di un mondo che rifiuta i principi liberali che pure lo hanno reso ricco e potente.
Ora Merkel si candida per il suo quarto mandato, al voto del 24 settembre. La sua politica dell’austerità ha spaccato l’Europa, la sua ostinazione fiscale con la Grecia ha tenuto insieme l’Unione ma ha spezzato alleanze e sincronie, con la politica dell’apertura all’immigrazione Merkel ha trasformato la propria carriera politica, diventando a un tratto simbolo di un’apertura che per la sua storia personale è una conseguenza naturale, ma che per il resto del mondo è un azzardo unico e rischioso. Il suo potente «ce la possiamo fare», pronunciato mentre le televisioni mandavano le immagini di decine di migliaia di profughi in cammino ai confini dell’Europa che gridavano «libertà», ha creato crisi dentro al suo partito, dentro alla sua coalizione (con i bavaresi della Csu) e dentro a tutto il Paese, determinando un calo di popolarità per lei e l’ascesa di movimenti anti immigrazione e xenofobi. Nelle ultime tornate elettorali regionali, la Merkel ha iniziato a pagare il prezzo della sua politica, ha così introdotto qualche variazione, ma annunciando la sua candidatura al quarto mandato, la cancelliera ha detto: è tutto l’odio che c’è nel dibattito politico e culturale oggi che mi spinge a non fare un passo indietro. Nessuno, da solo, pur con un’enorme esperienza, può combattere quel che sta accadendo, l’instabilità dell’America trumpiana, l’instabilità della Russia aggressiva, l’instabilità della Brexit, «nemmeno un cancelliere tedesco» può farlo, ha detto Merkel. Ma non è vero, lei può, almeno un po’, basta non lasciarla sola.