Ivanka è la testimonial elegante, mondana e moderata del trumpismo, la figlia preferita di papà Donald, l’unica in grado di tenerlo a bada, consigliarlo, strapparlo temporaneamente al suo irrimediabile narcisismo. Trentasei anni, un marito ricco e tre figli piccoli – l’ultimo è nato durante la campagna elettorale dell’anno scorso, a marzo, e non ce ne siamo accorti: prima c’era la pancia poi c’è stato il bebè, il sorriso della mamma non s’è mai incrinato – Ivanka Trump ha lasciato New York, le cariche nell’impero del padre e la sua azienda, ha comprato casa a Washington e s’appresta a diventare la first daughter più influente della storia americana recente. Formalmente non ha alcun incarico nella turbolenta amministrazione Trump, ma suo marito, Jared Kushner, è stato nominato consigliere del presidente – e ambisce a diventare il consigliere in capo: parte avvantaggiato per via del legame familiare, ma ha rivali tostissimi oltre che un suocero ingestibile – e i due sono già definiti la first couple, i guardiani del trumpismo, con quel modo misurato, affabile e determinato che sembra costruito apposta per ammorbidire le intemperanze di Trump.
Alcuni analisti si sono messi ad analizzare i tweet di papà Donald, quel flusso di coscienza che è ora la politica americana ufficiale, intervallato soltanto dagli executive orders, incrociando orari, virulenza e ossessività delle esternazioni del presidente e sono giunti a una conclusione: quando Ivanka è in shabbat con marito e famiglia – si è convertita all’ebraismo prima di sposarsi – Trump è in media più ruvido e incontrollabile. Durante la pausa, i due non sono rintracciabili, così si sta consolidando all’interno del team trumpiano la convinzione che al silenzio di Ivanka corrispondano reazioni impetuose di Donald. Due esempi: la querelle demenziale sul numero di persone presenti nel giorno dell’insediamento presidenziale è nata quando la first couple non era reperibile, così come il famigerato divieto di ingresso agli immigrati. È come se, nell’assenza di Ivanka, al presidente mancasse un freno, un confronto, potremmo dire una badante, se non fosse riduttivo definire questa figlia speciale soltanto per la sua capacità di contenere l’istinto debordante del padre.
Ivanka è da sempre la prediletta, Trump la chiama «daddy’s little girl» senza fare mistero del proprio debole: quando era una ragazza, lui diceva fiero che Ivanka era bellissima, piena di corteggiatori ma pressoché inaccessibile; quando lei decise di sposare Jared e di convertirsi all’ebraismo Trump sbottò: «Ma non dovrebbe essere lui a convertirsi per poter sposare lei?». In The Trump Card, pubblicato nel 2009, Ivanka racconta molto del rapporto con il padre, l’ossessione per la puntualità (che chissà dov’è finita: lo si attende per ore agli incontri presidenziali) e per l’igiene, e anche della sofferenza del divorzio dalla mamma Ivana, che tenne banco sui giornali per mesi all’inizio degli anni 90, con le foto di Trump e l’amante, le cifre dell’accordo prenuziale, la «disumanità» di lui, l’indirizzo del terapista di lei e altri dettagli pruriginosi. Ma Ivanka ha saputo mantenersi in equilibrio tra i genitori, dice che l’ordine e la programmazione sono stati la sua salvezza, anche nei rapporti con i fratelli che oggi sono allegri – Eric e Don jr la chiamano «principessa», mentre loro sono «i bruti» – ma che sono stati impostati, per volere di papà, su una competizione estrema. Ivanka ha raccontato che una volta stava facendo una gara di sci con suo padre e a un certo punto si sentì tirare: Donald l’aveva agganciata con la racchetta rallentandola, l’aveva spostata di lato ed era arrivato giù prima di lei. Il confronto tra Trump e i fratelli è stato più aspro, ma oggi sulla superficie non si vedono le increspature della gelosia, anche se ci sarebbe davvero da essere un po’ invidiosi di questa sorella perfetta e amatissima e del genero-che-è-come-un-figlio.
Tutto quel che riguarda Ivanka è immerso nella moderazione e nel buon senso: la mondanità newyorkese – che Trump al più disprezza – è bipartisan, ci sono l’amicizia con Chelsea Clinton come le cene di fundraising per leader anche democratici, ma anche il legame strettissimo con gli addetti ai lavori del trumpismo. Il ménage familiare è equilibrato, Ivanka scrive consigli e libri su having it all, fingendo di dimenticarsi che per lei avere tutto è più facile che per il resto delle donne sul pianeta. E le altre signore esperte del tema, come la dama di Facebook Sheryl Sandberg e l’ex consigliera di Hillary Anne-Marie Slaughter, assecondano l’aspirazione di Ivanka di fare da guru delle donne che lavorano (è previsto un nuovo saggio a maggio), aprono «dialoghi» e «conversazioni costruttive» con la giovane Trump, che quando era ragazza e sua madre la portò a vivere per qualche mese via da New York e via dal papà fedifrago chiese solo: ma non mi chiamerò più Ivanka Trump? La soggezione nei confronti della figlia prediletta sembra avere un peso anche al Congresso, dove tutto funziona a singhiozzo per evidenti frustrazioni politiche, ma l’«agenda Ivanka» procede più spedita: più attenzione alle donne imprenditrici, congedi maternità in revisione così come gli investimenti nel childcare e pressioni per un’equiparazione degli stipendi uomini-donne (come voleva Hillary). Con la sua risolutezza gentile, Ivanka ottiene quel che chiede.
Durerà? Nel roccambolesco inizio dell’amministrazione Trump nulla è prevedibile. Jared Kushner ha già avuto un piccolo smacco nella gestione dell’affaire messicano: lui era il negoziatore con Città del Messico, ma Trump ha deciso di testa sua, e così tra muro, dazi doganali e Nafta la trattativa è apparsa quantomeno indebolita. Si dice che per la prima volta da quando l’avventura trumpiana è iniziata, Jared si sia mostrato visibilmente furioso. Ma i giudizi definitivi, in quest’America che assomiglia sempre meno a se stessa, o all’immagine che abbiamo di essa, non esistono, e così anche il ruolo di governante di Ivanka potrebbe essere fortemente esagerato. Alcuni sostengono che sia uguale al padre, e che i suoi modi educati siano soltanto la sintesi di un enorme fraintendimento.