Comma profondo
Sarà per la sua discendenza europea, sarà per il suo acronimo che è anche un nome femminile, ma certamente l’Iva, tra tutte le imposte, è la più volubile e capricciosa.
Di tanto in tanto rivede le percentuali (un po’ come le signore con le pettinature) e non di rado prende decisioni incomprensibili ma irremovibili: per esempio quando vuole distinguere tra le cose da aiutare con un’aliquota ridotta, e quelle da non aiutare, che sottomette al prelievo massimo.
Potremmo tediarvi con molti casi, ma ci limitiamo a uno: l’acqua. I più ingenui potranno pensare che l’acqua è sempre acqua e quindi la signorina Iva si accontenti sempre della stessa aliquota, ma non c’è niente di più sbagliato. L’acqua-che-è-proprio-acqua sta al 10%, ma l’acqua minerale al 22% (entrambe le percentuali sono da ritenere provvisorie, salvo prossimi rialzi). E l’acqua di sorgente che viene distribuita nei boccioni, per gli uffici, le fiere, i ristoranti? Credeva, quest’acqua, di essere acqua-acqua e di meritarsi il 10%, ma l’agenzia delle Entrate ha chiarito che tanta grazia spetta solo all’acqua che il Comune eroga dai rubinetti.
La precisazione (in gergo, una “risoluzione”) non solo è arrivata con tre anni di ritardo rispetto alla norma, ma ha anche sbaragliato l’interpretazione fino a quel momento più accreditata. Un’interpretazione che pure non era scritta sull’acqua, ma poggiava sul recepimento di una direttiva europea (decreto legislativo 176 del 2011, articolo 20; l’indicazione delle Entrate è arrivata nel 2014). Insomma, acqua di sorgente, ma salata. Eppure, plurime e concordi decisioni dei giudici tributari stanno continuando a sostenere il contrario e rigettano le pretese del Fisco su chi non comprende la distinzione, peraltro neppure suffragata dalle classificazioni europee per il prezioso liquido. Nulla da fare, l’Iva separa le acque. Chiamatela Mosé.