Con cinquanta minuti di navigazione davanti a me, e con il mare mosso che non mi avrebbe lasciato leggere in pace senza centrifugarmi gli spaghetti nelle interiora, non restava che trovare un amico sfaccendato e raccontargli la cosa sorprendente che mi stava capitando.
Ne chiamai uno e non rispondeva. Un altro era dal barbiere. Il terzo bofonchiò un «Ci sentiamo stasera?». Allora chiamai un’amica, Clara, sempre ghiotta di confidenze maschili. Aveva tempo, si mise ad ascoltarmi. Era un tardo pomeriggio di fine giugno. Qualche giorno prima avevo compiuto sessant’anni, ma non l’avevo presa male. Ero sano, senza pancia, e perlopiù ricordavo nomi e date senza incepparmi e correre a googlare sul telefono per uscire dall’impasse.
«Due giorni e mezzo fa», inizio a raccontarle, «aspettavo in un bar davanti al porto di San Felice l’orario giusto per prendere il traghetto per Ponza. Stavo bene: l’aria era quasi fresca, avevo già bevuto il caffé, poi una spremuta, poi sbocconcellato le punte di un cornetto inflaccidito dall’umidità marina. A un certo punto, come un’irruzione, si catapulta nel bar una ragazza dall’aria aggressiva e infelice e si accascia su una sedia proprio accanto a me».
«Oddio, ci risiamo, ti sei innamorato di una pazza», dice Clara.
«Ma no, non semplificare. Ascoltami, stai attenta», la sgrido prima di riprendere il racconto: «Dapprima, la cosa che incuriosiva era il contrasto: in quel regno di ciabatte strascicate, accenti romani indolenti, tatuaggi planava questa nuova arrivata con il suo pallore bluastro, sfatto e innervosito. Poteva avere all’incirca trentacinque anni. In lei non c’era proprio niente di bello da guardare, era grassoccia, sudaticcia e disordinata, però la mia attenzione era comunque catalizzata dalla sua presenza. Parlava al telefono ad alta voce, con una marcata cantilena veneta, e diceva cose pungenti e insultanti. Definiva in tono sprezzante qualcuno e poi faceva una piccola risata tipo stridio di freni, divertita dalle proprie insinuazioni. Non si era interrotta nemmeno mentre il cameriere, fermo davanti a lei, aspettava di prendere l’ordinazione.
A un certo punto, la sento fare il nome di Marco Bianchi — come, non sai chi è? È una delle firme più note del Populista —, e sostiene, con sdegno, che in un articolo del giorno prima Bianchi ha copiato riga per riga, parola per parola, un pezzo del Guardian. Solo che, “ignorante in tutte le lingue”, ha girato in un’incomprensibile forma italiana il senso comunque frainteso dell’articolo inglese. “L’ho twittato” dice alla persona con cui sta parlando al telefono. Poi, la tipa si mette a vituperare il romanzo di Ortoni, che quest’anno è in predicato di vincere lo Strega. Dice che è orribile, kitsch, finto, zavorrato di dialoghi ridicoli. “La scena dell’inchiappettamento e quella dell’acquisto della casa sono illeggibili e involontariamente comiche. Un fenomeno spiegabile solo in quanto protetto dalla lobby gay”, sostiene sempre ad alta voce. “Adesso lo twitto”, aggiunge, dopo aver incitato a indignarsi la persona con cui parla. Poi, arriva il turno di una certa Cristina, che chiama anche “la mammellona”. Sostiene che, in cambio di ospitate, la dà a Riccardo, un Riccardo che — se capisco bene — è il conduttore di Piazza Italia».
«Piazza Italia? Cos’è?», chiede Clara.
«Ma non guardi la televisione? Non leggi i giornali? È un talk politico del mattino. Andiamo avanti. A quel punto della telefonata della ragazza, guardo l’orologio e vedo che è ora di andare. Verrà anche lei a Ponza? mi chiedo. Altrimenti, una così, che sembra conoscere tutto e tutti, perché si trova in questo baretto insulso davanti all’imbarcadero? Mi auguro che sia un’ospite di Parole e Pietre — che è poi la manifestazione ponzese dove stavo andando, questo non te l’avevo ancora detto. E aggiungo che ci andavo non per partecipare a un dibattito né per ascoltarlo, ma per una tresca che ho imbastito con una delle organizzatrici, cosa che immagino ti diverta.
Insomma, pago il conto, dò un’ultima occhiata alla ragazza brutta e, proprio mentre esco dal bar, lei si alza di scatto dribblando il cameriere che ancora aspetta di prendere l’ordinazione. Con due borse che le penzolano dalle spalle, sempre curva sul telefono, mi precede verso la coda davanti al traghetto.
Salgo, temporeggio, e poi vado ovviamente a sedermi alle spalle dell’odiatrice. Volevo proprio capire chi fosse e con chi stesse parlando. Nel frattempo, scrivo a Martina, la mia futura conquista, un neutro “Tra poco sono da te. Un bacio” , e mi dispongo ad ascoltare quali altre facezie possano uscire dalla mente avvelenata della ragazza. Non sbaglio. Dopo aver digitato sul telefono con velocità supersonica qualcosa che presumo siano dei tweet, fa un’altra telefonata. Stavolta sento e non sento, per via del motore del traghetto, rumorosissimo. Ripete le stesse cose che aveva detto nella telefonata di prima, al bar, ma a un certo punto comincia a condirle con informazioni ottenute da un certo Antonio, che gliele ha appena rivelate, e per giunta si mette anche a dir male di quest’Antonio, che è poi inequivocabilmente il tizio con cui parlava nella telefonata di prima.
Mi segui? Ti è chiaro? Bene.
Antonio, Antonio, Antonio… chi sarà questo Antonio? mi chiedevo. Tutto portava a un mio conoscente, uno degli ospiti previsti al festival di Ponza, il direttore del sito di Scoop, un giornale che tu sicuramente non leggi.
La faccenda si faceva sempre più divertente. Mi mancava solo di capire chi diavolo fosse la bruttona avvelenatrice di pozzi.
Sbarchiamo. Nella ressa la perdo di vista. Poi vedo arrivare proprio Santoni, il direttore di Scoop, per intenderci. Lei spunta dal gruppo di gitanti e lo raggiunge. Si scambiano un doppio bacio molto formale, lui le prende la borsa più grande e se ne vanno insieme. Li rivedo poco dopo nella sala colazioni dell’albergo, dove evidentemente alloggiamo tutti. Saluto chi conosco e chi non conosco, ma lei non mi guarda nemmeno per un secondo. Twitta, o qualcosa del genere, piegata sullo schermo del telefono con un’espressione di disprezzo. Chiedo informazioni a un tipo che conosco, uno dell’organizzazione. “Non sai chi è? È la Giagnoni!”. E, alla mia faccia interrogativa, precisa: “È il fenomenino del momento. Lucilla Giagnoni. Cura la rassegna stampa e le interviste di Radio Scintilla. Minaccia, dispone, insinua, tutti la temono e tutti la onorano. Ma dove vivi?”.
A quel punto, avrei dovuto insospettirmi — insospettirmi di me stesso, voglio dire — dal momento che l’intera scena, compreso il fatto che mi faccio subito presentare la bruttona, avviene mentre Martina, la ragazza che dovevo conquistare, sposata con un giornalista che disprezzo e dunque ancora più appetitosa, mi aspetta nella casa affittata durante il festival, dove presumibilmente dovrei correre senza esitazioni per avventarmi su di lei bramoso ed eccitato — proprio come, sino a un paio d’ore prima, avevo supposto di essere. Ascoltami: all’improvviso, tutto quello che mi aveva portato sin lì, la possibilità di abbindolare una bella organizzatrice di eventi con trent’anni meno di me, diventare suo confidente e suo riferimento, farci l’amore, competere con il suo detestabile marito e averla vinta, mi sembrava di secondo piano rispetto all’urgenza di saperne di più sulla perfida Giagnoni».
«Insomma, alla fine con chi hai scopato?», mi interrompe Clara.
«Oddio quanto sei terra terra. Non saltare passaggi psicologici! Ti sto raccontando una storia complessa. Stai attenta» sbuffo, mentre comincia a vedersi il profilo del monte Circeo, il che mi rende impaziente di terminare il racconto prima di approdare a San Felice.
«Qualche ora più tardi, durante l’aperitivo prima del dibattito sul palco davanti al porto, riesco a restare in disparte con Antonio, che tracanna un gin tonic dopo l’altro. Gli racconto che prima di sbarcare sull’isola ho casualmente ascoltato brandelli di una telefonata di Lucilla e ho capito che parlava di lui con un misterioso interlocutore. Per creare un’atmosfera di intimità e sfogo, mi costringo a smerciare qualche dettaglio su cosa è successo nel pomeriggio tra me e Martina.
“Avevo sentito parlare di Lucilla da una mia ex”, comincia a raccontare Antonio, dopo che gli ho confessato la mia disavventura erotica di un paio d’ore prima, nell’appartamento di Martina: “Proprio sul più bello, ho dovuto simulare uno scrupolo improvviso nei confronti del marito — quel coglione! —, mentre in realtà mi ero reso conto che non riuscivo a eccitarmi, ero distratto”.
Confortato dalla confessione della mia goffaggine, Antonio sembra non vedere l’ora di raccontarmi tutto quello che sa della Giagnoni: “Questa mia ex è sposata con il direttore di un settimanale allegato a un quotidiano — e non chiedermi il nome, perché le ho giurato che non avrei mai raccontato la storia a nessuno. Ti basti il ruolo di direttore, che è la chiave di lettura. A un certo punto, lei, la moglie, si rende conto che nei rari momenti in cui il marito è a casa, invece di dedicarsi alla famiglia sta sempre a chattare con qualcuno, che poi si scopre essere Lucilla. La mia amica lo sente ridacchiare, fare l’uomo di mondo, pavoneggiarsi… Devi sapere che Lucilla è molto cattiva con tutti, mentre quando parla con te ti fa sentire un genio, uno più bravo degli altri, gente che lei disprezza e di cui continua a smascherare lati negativi: cadute, ignoranze, errori che ti racconta dandoti in cambio una sorta di protezione. Arriva un momento in cui ti dici: se mi concede di essere il suo confidente, significa che non sono un fesso ridicolo come gli altri, e oltretutto la sua perfidia mi avvantaggia e mi fa da scudo. Questo lo so per esperienza diretta, ma ci arriveremo tra poco. Per ora siamo alla moglie, che si sta ingelosendo di questa ragazza con cui il marito sta al telefono per ore. ‘Ma è una cozza!’ si difende il marito quando la mia ex comincia a lamentarsi. ‘Ci parlo per lavoro, non preoccuparti, è inscopabile, dài!’. Ciò non toglie che la moglie lo scopre alle due di notte chiuso nel cesso a parlare con Lucilla. Perde la pazienza e comincia a stargli addosso, finché un giorno chiama Lucilla e le intima di lasciare in pace il marito, altrimenti la aspetta sotto casa e la mena. Io l’avevo sconsigliata di fare quella telefonata, ma lei non sopportava più questa sottrazione del suo uomo, che oltre a non scoparla più — stanno insieme da quindici anni, non ne aveva voglia nemmeno lei, in realtà — non le raccontava nemmeno più nulla, e se apriva bocca era per riferirle l’opinione di Lucilla o le indiscrezioni di Lucilla su qualche cosa. Questo era il vero tradimento: non che non scopava, ma che non le parlava più”.
Fin qui la storia di una coppia di sconosciuti. Ora però Antonio stava finalmente per dirmi come Lucilla fosse arrivata a lui. “Un giorno, poco dopo la telefonata minatoria della mia amica, trovo un like a uno dei miei tweet più mosci, una citazione di Thomas Mann… Sai quando non hai niente da dire ma devi tener desti i tuoi follower e butti lì una frase di qualcun altro? Bene, Lucilla mi mette un like. Ne seguono altri, di like, li mette persino ai miei tweet da tifoso della Lazio. Un giorno, sono io a renderle un like. Finisce che inizia tutto un paso doble a suon di like.
Poi lei mi scrive nella posta privata di Twitter per dirmi che sono il migliore. Che grazie a me Scoop è la cosa più intelligente e innovativa che ci sia da leggere in Italia. Che mi dovrebbero dare un talk in prima serata, e altri complimenti vari. Poi mi chiede il numero di telefono e mi dà il suo. Nel frattempo, le scrivo sul suo profilo pubblico apprezzando qualcosa che lei ha scritto. Poi da Twitter la conversazione si sposta su WhatsApp, e finisce che passo ore a chattare con lei. Ore! E poi…”.
“E poi?” lo incalzo io, sempre più interessato. “E poi me la scopo anche”, mi dice al quinto gin tonic. “Sembra incredibile ma mi è pure piaciuta, mi piace. Ha un suo fascino, molto nascosto se vuoi. È porca”, conclude in tono affranto, come se si dovesse scusare. “Non devi giustificarti, tutti abbiamo scopate inconfessabili alle spalle”, cerco di consolarlo. “Voglio solo sapere chi è quell’altro, quello con cui ride di me”, aggiunge Antonio, con il tono querulo degli ubriachi, appeso al mio braccio.
Naturalmente prometto di aiutarlo a scoprire con chi Lucilla stia svendendo le loro chiacchiere, e poi dobbiamo precipitarci al dibattito al porto, la scusa per cui ci siamo tutti ritrovati a Ponza.
Clara, hai capito? Ogni snodo? Siamo quasi alla fine, tranquilla. Seguimi, perché qui arrivano dettagli psicologici che ti interesseranno moltissimo per la tua indagine sulle contorsioni della mascolinità.
Il flop con Martina e la curiosità morbosa sulla storia di Antonio e Lucilla sono segnali abbastanza chiari, ma io non li noto e continuo a sentirmi spettatore di intrighi altrui, mentre il vero intrigo è il mio. Mi convinco di essere affascinato dalle strategie arrampicatorie della Giagnoni ai danni di qualche uomo di mezz’età, illuso del proprio potere. Dal canto mio, mi considero fuori da ogni mira. Non dirigo un giornale, sono un accademico, un saggista, non ho potere su nessun destino all’infuori del mio. Non ho nemmeno un profilo Twitter, nonostante il mio editore continui a insistere perché ne apra uno: “Fa vendere”, dice ogni volta. E ogni volta gli rispondo citando i libri invenduti di autori che scrivono più tweet di quante copie riescano a smerciare.
Ma torniamo all’intrigo. Se mi guardo dentro, adesso mentre ti parlo e sono partito da Ponza, mi rendo conto che voglio solo che capiti anche a me. Voglio ricevere i messaggi e le telefonate della Giagnoni, voglio essere tradito e che le mie confidenze vengano rigirate a un altro, voglio entrare dentro quell’eccitazione che ho iniziato a percepire due giorni e mezzo fa nel bar dell’imbarcadero, voglio desiderare di possedere e sedurre una ragazza brutta e cattiva, pronta a disprezzarmi e a rivendere le mie confidenze per mettersi in mostra con qualcuno più potente di me. Voglio provare a dominarla ed essere sconfitto — la beffa — da una ragazza inscopabile ma porca, questo almeno a detta di
Antonio.
Sono pronto per Lucilla Giagnoni, e lei non lo sa. Mi capisci adesso, Clara?».
Stiamo attraccando, mi volto, non molto, solo di un quarto, e intravedo qualcosa alle mie spalle. Mi volto meglio, ancora uno spicchio, benché abbia un po’ di dolore alla cervicale. Seduta alle mie spalle, con un sorriso perfido, la vedo. È lei, è Lucilla Giagnoni.