Per l’Istituto Geografico Nazionale francese il centro dell’Europa è un ciuffo d’erba tra i boschi, venti chilometri a Nord Est di Vilnius. Nell’anno dell’indipendenza lituana lo scultore Gintaras Karosas ci ha fondato attorno l’Europos Parkas: 55 ettari puntellati da installazioni di artisti internazionali come Abakanowicz, Oppenheim e LeWitt. La prima opera che si incontra sulla sinistra della strada sterrata, LNK Infomedis, è dello stesso fondatore: una grande muraglia di televisori sovietici, tra pini e betulle, circonda una statua di Lenin rovesciata sul muschio. Il cimitero dell’odiata propaganda di Mosca. Perché essere il centro dell’Europa è una condanna geografica.
Nel XV secolo il Granducato di Lituania si estendeva fino al Mar Nero. Dopodiché, i 65mila chilometri quadrati che formano l’attuale Stato nazionale hanno subito un quasi ininterrotto avvicendarsi di dominazioni e campagne militari delle potenze continentali. La Russia (e poi l’Urss) da Est, la Svezia da Nord, la Prussia (e poi il Terzo Reich) da Ovest, la Polonia da Sud. L’attuale repubblica baltica ha 49 anni in tutto. Fu indipendente tra il 1918 e il 1940. È tornata a esserlo nel 1990. Alla fine del 700, a Kaunas, seconda città della Lituania, si diceva che il ponte Aleksotas fosse il più lungo del mondo. Per attraversare i suoi 256 metri sul fiume Nemunas si impiegavano dodici giorni, cioè lo scarto temporale tra il calendario gregoriano, in vigore nel Regno di Prussia a cui apparteneva l’argine sudoccidentale, e quello giuliano: già sull’altra riva cominciava l’Impero russo.
Ovunque nel Paese ci si imbatte nel desiderio di solidificare un’identità, bella e fragile, sospesa sull’abisso della Storia: dagli 84 birrifici nazionali alla lingua che si vuole la più simile al sanscrito tra le indoeuropee. Dal cavolo selvatico in cucina ai fregi paganeggianti dell’art déco di Kaunas. Dalle gilde di ceramisti al design esclusivamente Made in Lietuva di hotel come l’Artagonist di Vilnius.
Vilnius repubblica creativa
La Lituania è stata l’ultima porzione d’Europa a convertirsi al cristianesimo, nel 1387. Ma oggi nella sua capitale, Vilnius, svettano cento campanili. Per la maggior parte cattolici, di stile neoclassico o barocco, a tinte pastello come quelli di Santa Caterina e di San Michele. La cattedrale è bianco latte. Il marmo è stato usato solo per le decorazioni. La pietra calcarea c’è in Estonia ma non qui. Gli edifici del tardivo gotico locale, come Sant’Anna, che di campanili ne ha tre, sono in mattoni rossi. Anche per questa particolarità l’Unesco ha dichiarato patrimonio dell’umanità i 360 ettari del centro storico di Vilnius. O di Wilna, per i tedeschi. O di Wilno, per i polacchi. «A seconda di chi la conquistava la città cambiava lingua e nome», dice Gintas, guida, ex tenente dell’Armata rossa e filologo. «Per la W, colonna portante dell’onomastica polacca, negli anni 90 il governo ha trovato una soluzione radicale: proibirla, almeno per i documenti ufficiali, insieme alle altrettanto straniere Q e X».
Gli ebrei locali, detti Litvak, la capitale, che loro chiamavano Vilné, non l’hanno mai conquistata. Ma fino alla Seconda Guerra mondiale l’yiddish era la lingua più diffusa in città. Nel Paese c’erano circa 350mila ebrei. Il 97 per cento fu fucilato da nazisti e collaborazionisti tra il 1941 e il 1945. «Mia nonna ha ricevuto una medaglia per aver fatto uscire un bambino dal ghetto dentro un sacco di patate», dice Daniel Lupschitz, sergente di Tsahal e consigliere comunale di Vilnius. Dove è nato e dove è tornato da qualche anno per promuovere quel che resta di un milieu da cui provengono le famiglie di Bob Dylan e di Benjamin Netanyahu, nonché i caratteri tipografici Romm con cui in Israele, come ricorda Jan Brokken in Anime baltiche, è ancora stampato il Talmud. «Ormai la nostra comunità conta qualche centinaio di persone – continua Lupschitz – ma tutt’oggi, per gli ebrei, ci sono tre Gerusalemme: quella Celeste, quella mediorientale, e quella europea: Vilné».
Resta una sola sinagoga, art nouveau, del 1903. Però nel quartiere ebraico si trovano indizi di un altro culto cittadino. Scendendo i gradini di un negozio sotterraneo di vinili e vecchi registratori in via Stiklių, Theolonius, il muro frontale è dominato da un poster di Frank Zappa. Lo stesso volto baffuto che dà forma al monumento di via Kalinausko. Ma perché, Frank Zappa, a Vilnius? «Era un idolo di tanti ravanelli», risponde Valerij, proprietario del negozio. «I parenti emigrati in America ci spedivano dischi rock in pacchi postali. Si ascoltava l’inno sovietico in piazza e chitarre elettriche in casa. Chiamavamo ravanelli chi era rosso fuori e non dentro. I pomodori, rossi anche all’interno, erano pochi».
La statua di Lenin, che arringava la folla in piazza Lukiškių, è stata accumulata insieme ad altre 85 sculture di leader socialisti nel parco Grūtas, a 130 chilometri da qui. La piazza è a metà della prospettiva Gedimino, signorile e alberato viale del centro, dove si alternano istituzioni e negozi. «Non è sempre stato così ordinato», dice Gintas. «Le auto occupavano le piste ciclabili. Nel 2011 il sindaco Zuokas si è fatto filmare mentre schiacciava una Mercedes parcheggiata abusivamente con un carrarmato».
Le stramberie di Vilnius contano anche personalità quali l’anziana Rožita, collo di volpe e parrucca bionda: da quando in gioventù perse il marito chiede, solo ai maschi, monete per telefonare. Soprattutto, sulla sponda meridionale della Vilnia (da cui prende il nome la città) c’è Užupis, un tempo quartiere popolare. Alla lettera, al di là del fiume, una specie di Trastevere. Se non fosse che nel 1997 si è autoproclamato repubblica indipendente. Col suo stemma a mano bucata, il suo presidente, la sua costituzione, affissa su lastre d’alluminio in via Paupio. L’articolo 9 recita: «Ognuno ha il diritto di essere pigro e di oziare». Ed ecco i creativi in erba stravaccati sull’argine assolato. In acqua, galeoni di polistirolo. C’è una piazzetta dedicata al Tibet con una cappella tappezzata di bandiere colorate: quando il Dalai Lama visitò Vilnius, nel 2001, venne proprio a Užupis, diventandone cittadino onorario. Molte case di ringhiera sono ancora di legno, con i tetti in lamiera.
«Anche questo edificio, l’incubatore artistico che dirigo, stava cadendo a pezzi negli anni 90», dice Giedrius Bagdonas, Ministro dei Sogni della Repubblica, nel cortile interno con acefale donne in gesso. «Alcuni studenti dell’accademia lo occuparono e cominciarono a ristrutturarlo. Sono nati i primi studi, le prime mostre. Adesso abbiamo accesso ai fondi europei. Promuoviamo concorsi artistici e affittiamo ai vincitori ampi spazi a prezzi agevolati. Ci sono pittori, gioiellieri, musicisti, ceramisti». Nella Camera dei Miracoli un gatto nero si aggira tra ombrelli cinesi e gabbie per uccelli. «La chiamiamo così perché è un prodigio che qui dentro ci sia gente che declama poesie invece di macerie a cielo aperto», dice Gedrius. Alle pareti, foto del presidente di Užupis vestito da giullare e banconote di euro Uža incorniciate (invece l’euro di Bruxelles nel Paese è in vigore dal 2015). «Le usiamo solo nel giorno della festa della Repubblica», ammette il ministro.
Nel quartiere ci sono gilde medievali come la Vilnius Potters Guild, che riproduce gli oggetti in ceramica della tradizione lituana, dal neolitico alla contemporaneità. Alla domanda se si senta cittadina di Užupis, Elana, una dei cinque membri della gilda, risponde: «Sono una patriota». Ci sono creatori di acque forti come Edita Suchockyte, che dice di avere aperto la galleria nella Repubblica per il forte senso di comunità: «I vicini di casa mi portano il vino». C’è il Negozio di tutte le cose: bambole, profumi, carillon e, va da sé, un busto di Frank Zappa. Ci sono fabbri come Birute, che, tra camino e incudine, dice: «Storicamente questo era il quartiere degli artigiani. Col socialismo era diventato un dormitorio. Il comune incentiva la rinascita dei mestieri a patto che teniamo corsi a porte aperte. Uso ancora le tecniche medievali. Si parte dai chiodi e se ti va bene in qualche anno impari a fare questa qui». Mostra una croce lituana, con raggi a serpentina. «Gesù ce l’hanno imposto col fuoco. Il paganesimo, per cui si adorava il sole e si nutrivano le bisce, si è travestito da decorazione». A Užupis ci sono anche ristoranti come Sweet Root, con cucina a vista e lampade industriali, aperto nel 2014. Sul retro del menù fisso da sette portate, le aziende agricole di provenienza delle materie prime. «Tanti giovani ristoratori stanno formando una nuova cucina Lituana», spiega Sigitas, il proprietario. «Niente sushi e aragoste. Reinterpretiamo la carne di maiale, il latte fermentato, le barbabietole, il cavolo selvatico, l’avena».
Un’analoga molecolarizzazione dell’identità gastronomica contadina (NB: le ultime elezioni legislative le ha vinte l’Unione dei contadini e dei verdi di Lituania) contraddistingue pure il ristorante Saula Food Cellar, in una cantina con i soffitti a volta nella piazza del municipio, e il Džiaugsma, con una testa di scimmia all’ingresso e frigoriferi da macellaio al piano superiore. Si trova nella zona tra via Vilnius e via Islanda, il primo Stato a riconoscere l’indipendenza lituana nel 1990. È il cosiddetto Triangolo delle Bermuda. «Ci sono talmente tanti bar e club che quando finisci qui non ne esci più», spiega Karolis, uno dei gestori di Alchemikas, locale con cocktail gourmet, luci verdi, abat-jour liberty e jazz.
Chi agli assoli di sax preferisse i fischi di saluto dei treni in frenata potrà spostarsi dall’altra parte della città, al Peronas. Un bar che si affaccia su un binario morto della stazione. Sotto la pensilina, i divanetti ricavati dai sedili dei vagoni circondano una statua gigante di Tony dei Soprano. Mentre non troppo distante, in via Pylimo, sulla facciata dell’hamburger bar Keulė Rūkė, un grande bus americano dipinto di nero, c’è l’immagine di Trump che soffia languidamente il fumo di una canna dentro alla bocca di Putin. «L’opera, del 2015, fu profetica. Siamo finiti sui social di mezzo mondo», dice Roma, responsabile dello staff. «Molti clienti ci dicevano: “Siete pazzi! Se Putin si incazza, la Lituania è la prossima che invade”».
Kaunas capitale culturale
Se una sala della facoltà di filologia di Vilnius è stata dipinta da Petras Repšys con i cani impiccati e i lottatori bendati della mitologia baltica, i particolari urbani di Kaunas riproducono suggestioni pagane in forme più stilizzate. Sarà capitale europea della cultura nel 2022 e fu capitale istituzionale del Paese tra le due guerre, quando Vilnius era polacca. Negli anni 20, per renderla degna del nuovo ruolo, gli architetti corressero lo stile più in voga nella Ville Lumière con l’etnografia locale. «Su viale Laisves (Libertà), ci sono ringhiere fatte con i rombi che prima del Cristianesimo rappresentavano il fuoco», dice Dalia, guida della città. «Fregi in granito quadrati per il sole e triangolari per la luna». E qua e là nel centro storico, che si sviluppa attorno a via Vilnius, pedonale e pullulante di bar con veranda, si incontrano crocifissi con asce incrociate per onorare il dio del tuono e parchimetri colorati con le forme geometriche pagane, commissionate dal comune come i tanti graffiti che ravvivano i muri cittadini. «Vilnius è più internazionale, Kaunas è radicata nelle tradizioni», dice Andrius, scultore che gestisce la galleria Post. Quest’orgoglio può perfino sublimare. Nell’edificio che un tempo ospitava l’associazione dei produttori di latte, adesso ogni maggio si tiene la Kaunas Design Week. In realtà, è piuttosto una mostra di installazioni. Una si chiama: Profumo dell’identità del cibo lituano. Sollevi una campana di vetro e si diffonde odore di crauti. Là dove Matias Paulinas, che ha lavorato al Noma di Copenaghen prima di aprire a Kaunas il sofisticato ristorante Nüman, assicura che se dagli scandinavi ha imparato l’organizzazione della cucina, quando, dopo anni, ha di nuovo assaggiato un pomodoro lituano, si è commosso.
Trakai e i caraimi
Altrettanto fieri delle proprie origini sono i Caraimi. Vivono a Trakai, a trenta chilometri da Vilnius, dove alla confluenza di due laghi sorge tutt’ora il castello, in buona parte ricostruito, che fu antica residenza dei regnanti lituani. «Veniamo dalla Crimea. Il granduca Vytautas nel 1392 portò qui alcune centinaia di famiglie perché gli uomini diventassero la sua guardia personale», dice Arturas, folte e scure sopracciglia caucasiche, cicerone del villaggio e proprietario del ristorante Kybynlar, che ancora serve specialità tipiche come i kybyn, panzerotti ripieni di carne. «Siamo rimasti in sessanta, ma continuiamo ad adorare soltanto l’antico testamento secondo la fede dei nostri antenati», continua, camminando tra casette di legno colorate, con tre finestre sulla facciata. «Una per Dio, una per la famiglia e una per il granduca», dice. «Per non estinguersi, bisogna credere di essere speciali»
Hotel Artagonist
A due passi da San Giovanni e dalla piazza del Municipio. Spazi comuni e camere decorati con murales, sculture, dipinti e installazioni di artisti lituani contemporanei.
Pilies gatvė 34, Vilnius
artagonist.lt
Sweet Root
Nel cuore di Užupis, il centro storico di Vilnius, propone un menù fisso di sette portate, stagionale e d’ispirazione tradizionale. Cucina a vista con ambiente (e impiattamenti) minimal.
Užupio gatvė 22, Vilnius
sweetroot.lt
Keulė Rūkė
Hamburger bar “politico”, con murales anti-Trump e anti-Putin. È ricavato dentro un vecchio scuolabus americano. Ha un cortile interno dove si suona musica dal vivo. Costine squisite.
Pylimo gatvė 66, Vilnius
keuleruke.lt
Peronas
Buon assortimento di birre lituane per un bar bizzarro, con tavoli, divanetti e abat-jour disposti lungo la banchina di un binario morto della stazione.
Geležinkelio gatvė 6, Vilnius
Alchemikas
I baristi di questo cocktail bar nel centro del cosiddetto Triangolo delle Bermuda giurano di preparare i migliori drink di tutta la Lituania. In effetti sono ottimi.
Islandijos gatvė 1, Vilnius
Europa Royale Hotel
Fabbricato industriale di mattoni a vista con cortile interno trasformato in un hotel giovane e curato nel centro della città. Buona colazione a buffet.
Miško gatvė 11, Kaunas
Nüman
Reinterpretazione baltica della cucina molecolare. Atmosfera e gestione scandinave, prodotti del territorio, serra in soffitta per coltivare spezie e profumi in loco.
Nemuno gatvė 66, Kaunas