Tranne che in rarissimi casi, quella di Marco Dapino non è l'America dei grandi spazi che la fotografia di paesaggio più classica ci ha generalmente trasmesso. Gli ingredienti sono sempre gli stessi, auto, asfalto, insegne, ma nella visione provocatoriamente paranoica del fotografo milanese le distanze vengono annullate, le dimensioni contenute, e il mito degli Stati Uniti on the road si riduce a un'esperienza ripetitiva, ossessiva, psicotica (e, se non fosse un pessimo gioco di parole, verrebbe da dire ‘autistica’). Memore dell'insegnamento di Stephen Shore ma aggiornata a tempi ancora più low-cost, quella di Unsung Heros (gioco di parole stavolta arguto, ma intraducibile, sulla doppia valenza della parola hero) è un'America parcellizzata, fatta di resti di cibo, sedili d'auto e parking lots che più che al viaggio fanno pensare all'attesa, all'immobilismo, allo stallo, a una nazione vastissima ma in modo irrisolto e che quindi non va più da nessuna parte. I tempi morti si dilatano contro la storia, i dettagli si ergono contro le vedute e assurgono allora a paradigma di un Paese ‘porzione-singola’, dove la comunità si frammenta in un individualismo che non ha nulla di esemplare

1

2

3

4

5

6

7

8

9

10

11

12

13

14

15

16

17