La forza del diorama nasce all’interno di un tempo tramontato, quello dei dagherrotipi e dei naturalisti svedesi che esplorano la Kamchatka a caccia di lepidotteri (si legga L’arte di collezionare mosche per vederne gli esiti). Un’epoca di viaggi in luoghi davvero sconosciuti, con l’urgenza di raccontarne, al ritorno, le meraviglie. Uno squarcio di secolo in cui erano possibili ancora avventure, nel senso romantico del termine: giungle, gorilla, ragni, tutto l’immaginario di Verne e Salgari. Poi impagliato e messo scientificamente dietro una teca. Simulacro della natura per i posteri.
Il diorama è la realtà a tre dimensioni prima del 3D, anche se non ci si immerge: si guarda, spesso a bocca aperta. L’istrice che spara i suoi aculei, i salmoni che risalgono la corrente, i muscoli tesi del cervo che scappa inseguito dalla tigre siberiana. Al Museo di Storia Naturale di Milano ci sono 83 diorami, sei sono stati inaugurati prima dell’estate: l’habitat africano di un bufalo di foresta, di un gorilla di pianura e di un okapi, i paesaggi di Asia e Nuova Guinea con un banteng (un bovino asiatico) e un orango. E il Palais de Tokyo di Parigi propone fino al 10 settembre la mostra Dioramas, che poi si sposterà alla Schirn Kunsthalle di Francoforte, in Germania, dal 6 ottobre al 21 gennaio 2018 sotto il nome Diorama. Erfindung einer Illusion. Cioè l’invenzione di un’illusione. Che è l’essenza dell’arte. L’esposizione parigina mette in luce anche le influenze del diorama sulla fotografia e l’arte contemporanea, che gioca sul confine tra spettatore e spettacolo, confondendo e modificandolo a piacimento. Marcel Duchamp lavorò al suo diorama privato Étant donnés per vent’anni, con tanto di manuale d’istruzioni per smontarlo e ricomporlo. Oggi è al Philadelphia Museum of Art.
Si attribuisce l’invenzione del diorama a Louis Daguerre: il Diorama di Parigi è un teatro che apre l’11 luglio 1822 in rue Sanson 4. Funzionerà fino al 1839, distrutto da un incendio. Al suo interno, un’evoluzione delle lanterne magiche settecentesche e un esperimento di proto cinema: è uno sfondo dipinto semicircolare con immagini mobili grazie a un gioco di proiezioni.
Nel campo del “vedere attraverso”, come etimologicamente suggerisce la parola diorama, noi italiani avevamo già una lunga tradizione. Quella dei presepi di francescana ispirazione. Nel mondo profanissimo della scienza invece, animali e uomini sono i soggetti di plastici, riproduzioni, rappresentazioni educative che trovano spazio tradizionalmente nei musei. A volte prendono vita come nella saga di successo Una notte al museo che ha fatto dire di poter conoscere l’American Museum of Natural History di New York anche ai meno appassionati di tassidermia e affini. Per chi era già devoto del luogo, è nota la storia degli artisti che diedero vita ai suoi primi diorami: venivano spediti nella savana per dipingerla e poi riprodurla in uno spazio circolare, nel museo. È il protocollo: andare di persona nella realtà prima di riprodurla. Sono i pittori Fred Scherer e James Perry Wilson o il tassidermista e scultore Carl Akeley, che negli anni 20 è ai piedi del vulcano Viruga, nell’allora Congo Belga, dove incontra i gorilla di montagna: la sua vicenda, compresi i sensi di colpa, è raccontata nel catalogo della mostra parigina. Mentre gli artisti dell’American Museum sono ricordati nel focus online The Making of a Diorama sulla piattaforma di Google Arts & Culture.