Di Nan Goldin è stato detto e scritto così tanto che è straordinario come un'opera celebre quanto The Ballad of Sexual Dependency non avesse ancora avuto la sua “prima volta” in Italia. Ci pensa finalmente il MuFoCo, che dal 18 settembre alla Triennale di Milano mette in scena il seminale diario per immagini della fotografa statunitense all'interno di un anfiteatro dove, sostenute da una colonna sonora eclettica e commovente, le settecento immagini che compongono le sue pagine scorreranno come frame di un film. È la più recente incarnazione di un lavoro studiato e imitato fin dalla sua comparsa, nel 1986, e che è ormai considerato archetipo della fotografia diaristica: vita e arte non avevano mai trovato una fusione performativa più totale—e, in questo caso, struggente—così come mai prima di allora era stato rappresentato con più evidenza il paradosso di un'esistenza privata che è contemporaneamente pubblica. Persona e personaggio, protagonista volontaria suo malgrado, Goldin scrive su se stessa la propria biografia, giorno per giorno, con una generosità onnivora che è autodistruttiva e allo stesso tempo terapeutica

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