È iniziata la nuova stagione Nba e la domanda è obbligata: «Ancora loro?». Perché se tutto fa pensare a una quarta finale consecutiva tra i campioni in carica di Golden State e Cleveland, è anche vero che molte squadre, soprattutto a Ovest, si sono decisamente rafforzate. E alla prima partita Houston ha pure battuto i detentori dell'anello
Ognuno ha la propria trilogia di riferimento. I protagonisti possono essere eroi western (la trilogia del dollaro, Sergio Leone & Clint Eastwood) o supereroi (Batman o Spider-Man), mafiosi (Il padrino) o innamorati (Jesse/Ethan Hawke e Céline/Julie Delpy, la trilogia cosiddetta before – Prima dell’alba, del tramonto, di mezzanotte). Può essere ambientata ovunque, dallo spazio (Guerre Stellari) al cyberspazio (Matrix), e comunicare qualsiasi cosa, da ideali rivoluzionari (Krzysztof Kieślowski – Film blu/libertà, bianco/uguaglianza, rosso/fratellanza) al concetto stesso di incomunicabilità (Michelangelo Antonioni – L’avventura, La notte, L’eclisse). La nostra si chiama Finali Nba (2015, 2016 e 2017), ruota attorno a due protagoniste immutate – Golden State Warriors e Cleveland Cavaliers – e ha mille personaggi che ne compongono una trama affascinante e sempre sorprendente. L’episodio originale ha visto uscire trionfali gli Warriors, il sequel ha premiato i Cavs, il terzo capitolo ha visto affermarsi nuovamente l’egemonia dei californiani. Ma gli studios, si sa, tendono a cavalcare fino all’esaurimento ogni prodotto che funziona e così sembra che con l’autunno i lavori di preparazione a un episodio aggiuntivo alla saga – data di uscita prevista per giugno 2018 – siano già in fase avanzata. Da una parte Golden State conferma tutti i personaggi principali – rimangono Steph Curry e Kevin Durant, Klay Thompson e Draymond Green; dall’altra a Cleveland, accanto a LeBron James, la produzione ha rimpiazzato Kyrie Irving con Isaiah Thomas e scritturato nomi roboanti come quelli di Derrick Rose e Dwyane Wade, disposti qui a recitare per due spicci parti anche minori, pur di contribuire a dare un futuro alla trilogia. Con buona pace di chi si lamenta della mancanza di sceneggiature originali o della serialità ormai dilagante delle produzioni, l’impressione è che a giugno il quarto episodio della saga possa colonizzare nuovamente l’attenzione del pubblico. Warriors-Cavs reloaded resta la scelta più educata nel prevedere il blockbuster estivo 2018.
Le alternative/1 (Est)
A Boston hanno fatto tutto per bene, non da oggi e neppure da ieri. È nell’estate del 2013 che il general manager Danny Ainge sceglie la nuova guida tecnica e azzarda una mossa che, storicamente, nella Nba ha sempre avuto pochissima fortuna: seleziona un allenatore proveniente dal mondo dei college. Si chiama Brad Stevens, ha raggiunto due finali nazionali con un’università di secondo piano (Butler, nell’Indiana, perdendole entrambe) e ora accetta la scommessa di misurarsi tra i professionisti. Ainge gli offre un contratto – sei anni garantiti – che porta con sé un messaggio chiaro e coraggioso: a Boston la squadra appartiene a coach Stevens. Il roster è quello che è, il primo anno si vincono solo 25 gare ma da allora si cresce in maniera costante: 40 vittorie l’anno successivo, 48 quello dopo (quando in squadra arriva Isaiah Thomas), 53 la passata stagione (quando si aggiunge Al Horford). Nel mentre Ainge continua ad accumulare contratti appetibili e scelte future al Draft, ovvero i due asset con cui una squadra Nba può recitare da protagonista sul mercato. E quest’estate, dopo aver atteso pazientemente, sferra la mossa finale: aggiunge un terzo pezzo pregiato alla collezione di All-Star della squadra (Gordon Hayward, non troppo a caso il leader di quella Butler University allenata da Stevens) e poi scambia il proprio playmaker (malconcio fisicamente, ma questo verrà fuori solo a trade ormai avviata) con quello dei loro principali rivali a Est, i Cleveland Cavaliers finalisti Nba. Il doloroso addio a Thomas consegna nelle mani di coach Stevens la propria versione dei Big Three, ricetta sempre di gran moda ai tavoli Nba: Kyrie Irving-Gordon Hayward-Al Horford (con contorno di due giovani davvero promettenti come Jaylen Brown e Jayson Tatum). La sfida più credibile al potere di LeBron James a Est (sette finali Nba consecutive per la sua squadra, tra Cleveland, Miami e ancora Cleveland, bilancio: tre vinte quattro perse) è quella lanciata dai Boston Celtics. Con buona pace di Toronto e Washington.
Le alternative/2 (Ovest)
Che a Houston facciano le cose in maniera differente che altrove è cosa risaputa. Il metodo Moneyball – statistiche avanzate applicate allo sport, utilizzate come stella polare per scelte tecniche e di personale – in Texas si chiama non a caso «Moreyball», dal nome del proprio general manager Daryl Morey, mai timido quando c’è da prendersi un azzardo. Come costruire un reparto di guardie formato da Chris Paul (strappato ai Clippers) e James Harden e metterlo nelle mani dello scienziato pazzo Mike D’Antoni. Attorno ai due creatori di gioco una batteria di tiratori da disporre rigorosamente dietro la linea da tre punti, per far piovere sugli avversari grandinate di triple. Tutto ovviamente passa dall’intesa che saranno capaci di stabilire le due superstar, ma Houston sembra avere qualcosa in più – una filosofia di gioco ben definita, nel bene e nel male – per candidarsi come prima alternativa a Golden State a Ovest. Attenzione a Oklahoma City, che ha affiancato all’Mvp 2017 Russell Westbrook non solo Paul George ma anche Carmelo Anthony (quanto ci vorrà a renderli squadra?), e alla solita San Antonio, che il candidato Mvp (2018) ce l’ha in quel Kawhi Leonard che allenato da Gregg Popovich assicura almeno una cinquantina di vittorie. Da sempre e per sempre.
Le squadre più sexy della lega
Una a Ovest, Minnesota; due a Est, Milwaukee e Philadelphia. Si parte dai Timberwolves: non saremmo troppo sorpresi se Karl-Anthony Towns, il loro leader naturale, entrasse già seriamente (a soli 21 anni) nelle discussioni di fine anno per il premio di Mvp. Da Chicago è arrivato Jimmy Butler a dargli man forte, permettendo così a Andrew Wiggins di esibirsi da magnifico terzo violino. La regia dello show è affidata a coach Tom Thibodeau, cui spetta il compito – non facile – di impedire che a così tanto talento non corrispondano risultati adeguati. I playoff sono l’obiettivo minimo e al tempo stesso quello più reale: il passaggio del primo turno non è da escludere, tutto ciò che dovesse arrivare in più renderebbe la stagione trionfale. Se Minnesota ha Towns, anche Milwaukee schiera il suo candidato Mvp alternativo e si chiama Giannis Antetokounmpo. Il suo soprannome – “The Greek Freak” – spiega meglio di mille parole giocatore e impatto sulla squadra, ma attorno a lui coach Jason Kidd sta facendo crescere un buon gruppo e nasconde nella manica un potenziale secondo asso, soltanto 19enne e tutto da sviluppare ma intrigante come pochi. Stupitevi il giusto se la rivelazione dell’anno dovesse giocare in maglia Bucks, provenire dal Sud Sudan e rispondere al nome di Thon Maker. Last but not least, i Philadelphia 76ers. Le ultime due prime scelte assolute al debutto – Ben Simmons (2016) e Markelle Fultz (2017) – nella squadra di Joel Embiid, il centro camerunense a suo agio tanto dietro la linea da tre punti che al comando dei suoi account social. Deve però restare in campo più delle 31 partite disputate lo scorso anno, cortesia di un corpo tanto dominante quanto fragile. Del terzetto sono forse la squadra che presenta più di tutte una serie di incognite – anzitutto fisiche – che rendono difficile l’allineamento perfetto di tutti i pianeti. Growing pains, chiamano in America le difficoltà che si incontrano per diventare grandi. Ognuna a modo suo, ci dovranno fare i conti sia T’Wolves che Bucks che Sixers, ma che la grandezza sia nel loro destino sembra non essere in dubbio.
Dim Lights, Bright City
Ovvero, parafrasando Jay McInerney: le miserie annunciate di Knicks, Lakers e Bulls, squadre simbolo di tre grandi città che invece di risplendere resteranno relegate un anno di più in una misera penombra. Non sono più gli anni 80 d’altronde, né per il protagonista creato dalla penna di McInerney, né per le franchigie che furono di Patrick Ewing, Magic Johnson e Michael Jordan. Ordine di ripresa previsto per le tre nobili decadute: 1) Lakers (Brandon Ingram e Lonzo Ball più tutto lo spazio salariale per accogliere due superstar l’anno prossimo); 2) Knicks (hanno pur sempre l’unicorno Kristaps Porzingis da cui ripartire); 3) Bulls (rifondazione completa).
Gli italiani
Maglie nuove per entrambi, quella dei Clippers per Gallinari, quella degli Hawks per Belinelli, ma prospettive diverse: L.A. punta ai playoff, Atlanta a evitare la maglia nera Nba. Diversi anche gli obiettivi personali: Gallinari ha la chance di ritagliarsi un ruolo importante in una squadra importante, ricominciare a frequentare il basket che conta (quello giocato da metà aprile in poi) e godere anche dei benefici mediatici che esibirsi in un mercato come L.A. comporta. Se deve (e può) salire un ulteriore gradino nella sua carriera, è chiamato a farlo in questa annata. Belinelli è in quello che nella Nba si chiama contract year: il suo accordo va a scadenza a fine anno ed è quindi realistico che l’azzurro – viste le limitate aspettative di squadra – pensi anche alle proprie cifre e a guadagnarsi un nuovo ingaggio Nba. Non è escluso che Atlanta – intorno a febbraio, quando la stagione avrà già preso una certa piega – possa anche metterlo sul mercato confidando nell’interesse di una squadra da playoff che punti a fare un’aggiunta importante (un tiratore vicino al 40 per cento da tre, esperto e veterano, può tornare comodo). Se succede Belinelli potrebbe ritrovarsi a sorpresa a giocare di nuovo per obiettivi che contano.
Varie ed eventuali
Raffica finale di pensieri sparsi e qualche previsione: Dennis Smith (Dallas) miglior matricola stagionale. I Bucks si confermano squadra più sexy anche nella novità stagionale meno gradita, l’introduzione degli sponsor sulle maglie (niente di osceno alla vista, un patch di 6 x 6 cm sul petto). Milwaukee sfoggia il glorioso logo Harley Davidson, orgoglio locale: poteva far meglio solo pubblicizzando Arnold’s, la mitica tavola calda di Fonzie, Rick, Ralph e Potsie. Denver Nuggets squadra più sopravvalutata: si rischia di deludere parecchi entusiasti. Utah Jazz squadra più sottovalutata: hanno perso Hayward, ma sul Grande Lago Salato sanno quello che stanno facendo. Premio spogliatoio-polveriera: non andate oltre New Orleans, dove hanno a roster i caratterini di Rajon Rondo, Tony Allen e DeMarcus Cousins (Free Anthony Davis!).