Cammini per la Calle de las Damas di Santo Domingo e ti trovi nella prima strada costruita nel Nuovo Mondo. Giri l’angolo e entri nella cattedrale di Santa Maria dell’Incarnazione e sei in territorio della prima diocesi d’America. La cattedrale fu costruita tra il 1512 e il 1540, ma ancor prima, il 6 gennaio 1494, nella parte settentrionale del Paese, precisamente a La Isabela, primo insediamento europeo del Nuovo Mondo, così chiamata da Cristoforo Colombo in onore di Isabella la Cattolica, padre Bernardo Boil celebrava la prima messa d’America. Sempre qui videro la luce il primo tribunale e la prima università, la San Tommaso d’Aquino, nel 1538.
Se si dovesse sintetizzare all’osso la caratteristica peculiare della Repubblica Dominicana non sarebbe quindi difficile: la pioniera, la “prima d’America”. E se il Paese caraibico si vanta di essere l’avamposto europeo nel Nuovo Mondo, la capitale Santo Domingo è necessariamente prima tra le prime. La sua zona coloniale, fondata nel 1496 da Bartolomeo Colombo, fratello di Cristoforo, è per larghi tratti conservata in maniera sorprendente. Ospita la casa di Diego Colombo, figlio del Navigatore e governatore della Española, come al tempo era denominata tutta l’isola che contiene gli odierni Stati di Haiti e Repubblica Dominicana, e tutta una serie di chiese e conventi, oltre ai palazzi appartenuti a Hernan Cortés e Nicolas de Ovando, predecessore di Diego Colombo all’amministrazione della Española, e il Conde, una bellissima zona commerciale pedonale di otto blocchi, con i suoi palazzi neoclassici e art deco che risalgono alla prima modernità dominicana.
Poi c’è la musica, che sale dalle piazze in cui si gioca a domino o si improvvisano mercatini di libri antichi e monili vari, che esce dai colmado, negozietti d’angolo con le saracinesche mai abbassate e dove si può trovare letteralmente qualsiasi cosa. Quando c’è musica e si balla, negli immediati dintorni, sulla strada o all’interno, prendono il nome di colmadon, ma la sostanza non cambia. Quel che non può mai mancare è la cerveza, obbligatoriamente di marca “Presidente”, la birra locale, e altrettanto obbligatoriamente “vestida de novia”, da sposa, cioè di bianco, perché viene servita così fredda che la bottiglia si ricopre di un sottilissimo strato di ghiaccio, alla maniera dei campi “brinati” delle campagne lombarde di climi e gelate che furono.
Musica, si diceva: ovviamente suona il merengue e il pambiche, una sua variante, ma lo spettro è ampio: la bachata, la balada, il son cubano, il rap dominicano e il dembow, di derivazione dal reggaeton portoricano, sono tutti generi che si rincorrono per le vie della città coloniale e nei suoi ristoranti, bar e locali notturni. Per non essere investiti dai ritmi caraibici a qualsiasi ora del giorno e della notte ci sono solo due opzioni: circolare indossando potenti tappi auricolari o essere straordinariamente assorti da questioni interiori. In caso contrario non c’è scelta, mambo!
Google punta forte su Centroamerica e Caribe
Google sta facendo molto in Latinoamerica, basti pensare al progetto Loon, con cui porterà internet in zone remote attraverso palloni aerostatici lanciati nella stratosfera. Giovanni Stella, Country Manager Centro America & Caribe ne è certo: il futuro promette bene
Ma Santo Domingo non è solo la sua città coloniale, anzi. Ritornandoci a distanza di quasi 20 anni, ho trovato una realtà completamente mutata. I ricordi erano quelli di un contesto di povertà assoluta, di troppo rum e merengue, di cartelloni ai margini delle strade con la scritta “No drink & drive”, di carcasse di automobili incidentate volontariamente abbandonate ai lati delle carreggiate come moniti disperati di richiamo all’ordine, di sorrisi e buon umore nonostante tutto, certo, quello è il tratto meridiano del carattere caraibico, ma di increspature crescenti di tristezza e una certa rassegnazione. Oggi questo non c’è quasi più. Evidentemente la Repubblica Dominicana ha saputo farsi trovare sull’onda ascendente del grande moto rivoluzionario generato dalla globalizzazione, e si è posizionata nella colonna dei beneficiati dai suoi effetti. L’economia cresce a ritmi del 7-8 per cento annuo da oltre un decennio, quella dominicana è la nona economia americana e solidamente la prima per incremento annuo in tutto il Latinoamerica. Come detto, il punto di partenza era molto basso, ma, per fare un paragone esemplificativo e allo stesso tempo drammatico, basta gettare un’occhiata alla sua gemella, e cioè alla disastrata Haiti, per capire che qualcosa di buono da queste parti deve essersi effettivamente verificato.
Un “paseo” per la Santo Domingo coloniale
ALCÁZAR DE COLÓN
La casa di Diego Colombo, figlio del navigatore genovese, fu il primo edificio fortificato costruito nell’era coloniale tra il 1511 e il 1514. Vale la pena visitarlo
>>> Plaza de Espana, Calle Las Damas
RUINAS DE SAN FRANCISCO
Si tratta delle rovine del primo monastero edificato nel Nuovo Mondo, nel 1508 da Nicolas de Ovando, governatore e amministratore coloniale della Española dal 1502 al 1509. Concerti live ogni domenica
>>> Calle Emiliano Tejera
CASAS DEL XVI
Uno degli hotel più evocativi della zona coloniale, è costituito da quattro case individuali, ciascuna contraddistinta da un carattere ben distinto e definito. La nostra preferita è la “Casa del Albor”
>>> Calle Padre Billini, 252
MAMEY LIBRERÍA CAFÉ
Libreria, caffè, galleria d’arte, un patio dove trascorrere rilassanti pomeriggi sgombri da pensieri e preoccupazioni. Ci si incontrano le persone pù interessanti della capitale
>>> Calle Mercedes, 315
LA ALPARGATERÍA
Si producono, lo dice il nome le alpargatas (le nostre “espadrillas”). Rigorosamente fatte a mano anche al momento, dai 995 ai 3.200 pesos dominicani (18-55 euro)
>>> Calle Salome Urena, 59
MUSEO DE LAS CASAS REALES
A nostro giudizio è il museo da non perdere nella capitale: vi si ripercorre la storia della Española, l’isola che contiene gli odierni Stati di Haiti e Repubblica Dominicana. Davvero molto interessante
>>> Las Damas. Esq Mercedes
CASA DE TEATRO
Centro culturale inaugurato nel 1974 dallo scrittore dominicano Freddy Ginebra. Pensato originariamente solo come spazio per il teatro, negli anni si è trasformato fino ad accogliere ogni disciplina artistica
>>> Calle Arzobispo Meriño, 110
EL SARTÉN
Vivace localino dove sorseggiare un buon drink accompagnando le performance sonore dei molti artisti che qui si esibiscono praticamente tutte le sere
>>> Calle Hostos, 153
Ora Santo Domingo è una città centroamericana in grado di volgere tranquillamente lo sguardo alle metropoli più virtuose dell’area. Grandi centri commerciali – enormi centri commerciali, per la verità –, banche, negozi, sfilate di concessionarie di automobili di media e alta gamma. Davvero un altro mondo rispetto a 20 anni fa. Anche i dati nel campo delle telecomunicazioni, uno degli indici contemporanei più solidi nel misurare lo sviluppo di aree geografiche e Paesi, testimoniano questa corrente ascendente della società dominicana: su una popolazione di 10,7 milioni di abitanti, ben 6 milioni sono gli utenti di internet, la percentuale più alta in tutto il Caribe, così come la più alta si registra nel campo degli utenti di internet mobile (3,8 milioni di persone). La penetrazione della rete è del 57 per cento e con dati demografici che rivelano una popolazione molto giovane – millennials e generazione z rappresentano il 62 per cento del totale – il futuro della Repubblica Dominicana pare destinato a ulteriori risultati apprezzabili.
Lasciandosi alle spalle Santo Domingo in direzione Nord, verso le coste di Puerto Plata laddove attraccarono le caravelle di Colombo oltre cinque secoli fa, si costeggia la cordigliera centrale, un’impressionante catena montuosa con vette oltre i 3mila metri, e si riscopre l’identità della vecchia Española, quella abitata dagli indigeni taino, ovviamente sterminati dagli europei anche se per una volta si dice più per le malattie che per il ferro. Questa dorsale abbastanza lontana dalle più battute direttrici del turismo di massa – che volge verso Sud-Est, a Punta Cana, a La Romana, verso le coste più dolci di sabbia finissima e mare calmo, gli albergoni e i resort del tutto incluso – è ideale per conoscere il vero volto della Repubblica Dominicana, i turisti qui in zona sono merce rara.

La teleferica di Puerto Plata, esperienza obbligata per chi arriva in città, parla italiano: il macchinario originale porta ancora la scritta della ditta costruttrice, la Ceretti & Tanfani di Milano; il responsabile delle relazioni pubbliche e marketing è un connazionale molto disponibile: Andrea Attus
Puerto plata e il fiorentino di “governo”
Se c’è una persona che ha in mano i destini di Puerto Plata è Roberto Casoni, fiorentino, executive vice-president della catena VH Hotel & Resorts che comprende tre strutture in zona. Ma Casoni è molto di più: vice-console di Puerto Plata e collettore di iniziative imprenditoriali per il rilancio dell’area
A questo scopo vale la pena fare una sosta al Centro Leon di Santiago de los Caballeros, vivace centro culturale privato, dove ci si ritrova in prima persona a riscoprire la Storia dell’isola e dell’intero Caribe, dai periodi pre-coloniali alla modernità, in un percorso snello ma interessantissimo, anche per la quantità di materiale esposto. Poi si punta ancor più verso Nord, in automobile prestando attenzione ai numerosissimi policia acostado, i “poliziotti sdraiati”, i nostri dossi stradali dissuasori di velocità, così chiamati con ironia caraibica dalla caratteristica principale dei funzionari dell’ordine locali, e cioè i ventri voluminosi.
Amanera, del guppo del superlusso Aman, è il più bell’hotel della Repubblica Dominicana. Offre due tipi di sistemazione: le “casitas”, alcune con piscina privata, tutte con vista oceano, terrazzo e vetrate cielo-terra; e la “casa”, una villa con due camere da letto, cinque bagni e una grande piscina privata. Il resort
è quanto di più rilassante si possa immaginare: si gira in piccoli cart da golf, si può cenare in spiaggia, si gioca a golf , si ascolta il rumore dell’acqua
Tutto intorno corrono le grandi piantagioni di tabacco per i sigari (la Repubblica Dominicana è la prima produttrice di sigari premium al mondo), il cacao e, ancor più in là le miniere di ambra e larimar, quest’ultima essendo un’ambra azzurra che si trova soltanto qui in tutto il globo, precisamente nella zona di Barahona, all’estremo meridionale del Paese. Ma torniamo a Nord, a Puerto Plata, come detto tra i primi insediamenti europei nell’isola e, fino agli anni Ottanta, anche principale destinazione del turismo, soprattutto nordamericano. Oggi la zona vive un periodo di rinascita, deve necessariamente riguadagnare il terreno perso a favore dei più noti hub di Punta Cana, ma non è operazione semplice: l’Oceano qui non è quello da cartolina di laggiù, lo snorkeling è affare fisicamente più impegnativo ma ci si può consolare con il kitesurf, giacché vento e onde non mancano quasi mai. È un’area di villaggi consecutivi affacciati su spiagge ampie, di accoglienze generose, di orde di sportivi di giorno e libertinaggi assortiti di notte, a ciascuno il suo.
Cabarete ne è un esempio plastico, con la sua sfilata di ristorantini e bar sul mare, i negozi di gioie locali e i tanti affittatavole a ridosso del migliore spot per fare surf dei Caraibi, playa Encuentro. Continuando nella stessa direzione si raggiunge un tratto di costa molto più dolce e rilassante, già meta prescelta da super-ricchi perlopiù yankee in cerca di lusso, Caribe e di un numero ragionevolmente moderato di gomito a gomito locali. Lungo la costa e intorno al piccolo centro di Cabrera esplode il real estate pesante, con Amanera, l’impressionante resort del gruppo di Singapore Aman a farla da padrone e tutta una serie di mansion milionarie in stile balinese che si rincorrono su e giù per le scogliere verdi e ricchissime, tra prati perfettamente pettinati e cieli azzurri, qui di problemi ce ne sono pochi.
Cucina d’autore, di “barra”, di strada e di playa
TRAVESIAS
Casa della chef Tita, la più importante chef della cucina d’autore dominicana, profonda conoscitrice della tradizione locale a cui aggiunge una sincera vena creativa mai accessoria. Tappa obbligata
>>> Avenida Abraham Lincoln 617, Santo Domingo
LULU
Enoteca, bar, ristorante con musica dal vivo nella parte più evocativa della città coloniale. Servono ottimi vini e solidi cocktail più un menu internazionalista senza pecche né particolari picchi
>>> Parque Billini, Santo Domingo
BARRA PAYAN
Aperto 24 ore al giorno, qui si va per i sandwich più assertivi della città. Formaggio fuso, burger, tostadas e una notevole selezione di spremute di frutta pressate al momento. Ci passano tutti: un’istituzione dal 1956
>>> Avenida 30 de Marzo 140, Santo Domingo
BUCHE PERICO
Ristorante gradevole nella città coloniale, a tre passi da quella che si dice essere stata la casa di Hernán Cortés, con un formidabile dehor interno risultato di complicatissimi, ma riusciti, studi giardiniero-ingegneristici
>>> Calle El Conde 53, Santo Domingo
ARAGOSTA E “PESCADO FRITO”
Playa Grande è una bella spiaggia di arena finissima davanti a un mare turchese e a un certo numero di gabbiotti con cucina. Si arriva, si sceglie il pesce crudo e ci si abbandona su sedie di plastica in attesa di essere serviti
>>> Playa Grande, Cabrera
CHICHARRONES
Se c’è una cosa che piace ai dominicani ai fornelli è friggere. Friggono anche il maiale, e poi lo appendono a trabiccoli di legno ai margini della strada dove signore con scimitarre affilate lo affettano con precisione per servirvelo su fogli di carta improvvisati. Ovviamente il risultato è squisito
DESAYUNO DOMINICANO
La vera colazione dei campioni è senza dubbio la colazione che si serve nelle tavole calde dominicane: uova fritte, formaggio fritto, mangú (una purea di platano) con cipolle in scapece e, per non farsi mancare nulla, qualche fetta di una strana specie di salame, ovviamente fritto anch’esso
CASA BADER
La birra più ghiacciata del mondo la servono qui, in quel che sembra essere un vecchio baraccio di quartiere e nulla di più, e invece ha tutto per valere la sosta volontaria: storia, disordine, e frigoferi impostati a -7,8°C
>>> Calle 16 de Agosto, Santiago de los Caballeros