I chiodini compiono 65 anni. E non accennano a passare di moda. Anzi, in un mondo sempre più virtuale e legato all’intrattenimento videoludico, il gioco portato in Italia nel 1953 da Alessandro Quercetti – appassionato di volo e pilota di caccia durante la II guerra mondiale – rimane un appiglio alla realtà cercato (e comprato). Allora erano fiammiferi di legno con la capocchia in ceralacca colorata che conficcati in un foglio di cartone traforato formavano disegni e mosaici fantastici, e si chiamavano Coloredo. Oggi è il momento dell Pixel Art, un kit che permette di riprodurre immagini e opere d’arte scaricabili dalla Rete usando i chiodini come fossero pixel, e mescolando sei colori per creare tutto un mondo cromatico realistico. In mezzo, un aggiornamento inedito e cruciale: la plastica, che ha permesso la nascita dei funghetti colorati da infilare in una tavoletta così come li conosciamo oggi. La Quercetti, l’azienda familiare fondata dallo stesso Alessandro all’inizio degli anni 50, ne produce 4 milioni al giorno. Un numero lievitato negli ultimi anni. Nel 2016 le vendite dei giocattoli Quercetti in Italia sono aumentate del 22 per cento, con la linea Pixel Art principale responsabile di questo risultato, con una crescita del 58 per cento. Nello stesso anno sono stati prodotti 1 miliardo e 600 milioni di chiodini, un record. Tutti escono dallo stabilimento di Torino, dove avvengono i processi produttivi, dall’ideazione, alla costruzione stampi per lo stampaggio ad iniezione, al confezionamento.
«Siamo stati da Arrods e quando hanno saputo che producevamo in Italia hanno espresso meraviglia: “Ma davvero? Questo è molto importante per noi”, ci hanno detto», a raccontare l’aneddoto è l’ingegnere Stefano Quercetti, figlio di Alessandro e amministratore delegato dell’azienda che oggi fattura 8,5 milioni di euro in un mercato, quello dei giocattoli, che vede la produzione provenire all’85 per cento dall’Oriente, con la Cina protagonista. «La Pixel Art ha rinverdito il mito del chiodino e si sta imponendo sul mercato. I risultati che abbiamo raggiunto sono tanto più sorprendenti se pensiamo che noi non facciamo pubblicità in tv. Crediamo di più nel passaparola. Raggiungiamo 50 Paesi nel mondo, fino alla Cina, Filippine, Singapore, Hong Kong e Giappone, di cui siamo particolarmente orgogliosi perché è un popolo abituato a una qualità superiore. Il mercato principale è l’Europa, dove realizziamo il 65 per cento del volume d’affari. Ma negli ultimi due o tre anni c’è un interessante sviluppo anche del Nord America: a febbraio siamo stati per la prima volta alla New York Toy Fair». Tra le tendenze per il 2018 viste in fiera c’è anche la nostalgia di cui si fanno portatori i genitori millennial, iperconnessi e allo stesso tempo propensi a riscoprire vecchi giochi non digitali. Non è un caso che i chiodini siano in vendita anche all’interno del portale italiano Fattobene, un progetto di Anna Lagorio che si descrive così: « Un archivio di oggetti italiani che esistono da generazioni. Archetipi della tradizione che il tempo non ha scalfito e che oggi fanno parte del nostro immaginario collettivo».
«Abbiamo deciso di tenere la nostra offerta nel mondo analogico», continua Quercetti, «perché è un modo per costruire qualcosa di vero e per sviluppare capacità di concretezza legate alla realtà e alla natura. I chiodini permettono di mantenere un’attenzione prolungata nel tempo con soddisfazione crescente. Richiede una coordinazione tra movimenti e occhi che porta a vantaggi nell’apprendimento. È un aspetto collaterale del gioco, ma che negli ultimi anni viene richiesto sempre di più nella terapia con bambini autistici o malati di Alzheimer». I chiodini sono diventati lo strumento per uno studio in corso al dipartimento di neurobiologia del Karolinska Institutet di Stoccolma, in collaborazione con il Centre de Recherche en Neurosciences di Lione, su come l’uso di un nuovo strumento manuale possa avere effetti benefici su altre funzioni cognitive. Al momento la risposta è positiva.