Non ce l’ha fatta Hugo Lloris a rovinare la festa della Francia con la sua sciagurata papera a metà secondo tempo quando Mbappé aveva già messo il risultato in cassaforte realizzando il quarto gol per les Bleus di Francia. Non ce l’ha fatta Vladimir Putin a officiare un Mondiale senza dissenso. Le Pussy Riot gliel’hanno fatta grossa: proprio nel bel mezzo della finale hanno interrotto la partita con un’invasione di campo prontamente fermata dalle forze dell’ordine russe e altrettanto prontamente censurata da telecamere e regia televisiva internazionale.
E non ce l’ha fatta nemmeno Matteo Salvini, alla perenne ricerca di facile consenso. Il nostro ministro dell’Interno si è presentato sugli spalti dello stadio Luzhniki per «gufare la vittoria dei francesi» e ridimensionare la grandeur di Macron. Tutto inutile: la Francia ha battuto la piccola ma tosta Croazia, Macron ha esultato come un ultrà a fine partita e sotto l’Arco di Trionfo hanno celebrato per tutta la notte una vittoria mondiale arrivata dopo vent’anni. E anche a Zagabria hanno festeggiato il secondo posto di un Paese di poco più di 4 milioni di persone. Tutti gli altri a casa e arrivederci fra 4 anni. Anzi tra 4 anni e mezzo: i mondiali in Qatar si disputeranno tra il 21 novembre e il 18 dicembre 2022 per evitare le temperature proibitive dell’estate del Golfo. Se possibile con la presenza dell’Italia. Ma che cosa ci rimarrà di questi Mondiali russi? Qui sotto abbiamo provato a individuare 10 ragioni semiserie per cui ricorderemo questi campionati.
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SCENE DA UN MANICOMIO (MONDIALE)
Tra simulazioni, contorsioni, lacrime, proteste, simulazioni e meme che hanno spopolato sui social, Neymar da Silva Santos Júnior rischia di passare alla storia come miglior allievo dell’Actor’s Studio senza avere mai fatto un’ora nella più celebrata scuola di teatro del mondo. Va detto che O Ney, arrivato in Russia in condizioni di forma appena sufficienti, ha acquistato sul campo passo, corsa e pure tocco da campione. Senza di lui il Brasile sarebbe stato meno Brasile ed è dai tempi di Pelé che il Brasile vuole incoronare un nuovo re: tocca aspettare ancora quattro anni.
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MARADONEIDE
Sebbene (de)caduto, e anche molto in basso, Re Diego Armando non vuole uscire di scena. Tra corna, dita medie alzate, insulti, escandescenze e pure un malore, Maradona ha accompagnato la mesta avventura argentina a questo Mondiale dalla tribuna con gesti poco aristocratici. Il suo fantasma aleggia sulla nazionale albiceleste e ha adombrato il volto di Messi fin dall’esecuzione degli inni nazionali: se il buongiorno si vede dal mattino e se si deve dare retta al body language, il linguaggio del corpo, la fine dell’Argentina era già nota: Mbappé è stato solo il curatore fallimentare di un disastro annunciato che ha un nome e un cognome, Jorge Sampaoli, e una valanga di tatuaggi. Con quell’espressione da Montalbano appesantito, gli è bastato togliersi la giacca e mettere in bella mostra assieme a una t-shirt Armanistyle braccia ricoperte di tattoo da wrestler in pensione: se voleva intimorire l’avversario non c’è riuscito, se voleva metterla in farsa nemmeno. I galletti francesi hanno immediatamente capito chi era il pollo e non hanno avuto pietà di lui: sono passati agili ai quarti con buona pace della Maradoneide di cui sopra.
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GALLETTI E GALLINE
I galletti francesi sono passati meritatamente ai quarti, ma le galline nigeriane che fine han fatto? Nel variopinto carnevale che ha accompagnato la Nigeria in questo mondiale erano previste pure le galline. Non saranno animali intelligenti (se avete dubbi potete chiedere a Cochi e Renato) ma pare abbiano poteri apotropaici fenomenali, soprattutto quando hanno le piume dipinte di bianco e di verde, i colori nazionali della Nigeria. Per questo un gruppo di tifosi africani aveva deciso di portarle sugli spalti di Kaliningrad come mascotte port bonheur per la squadra impegnata nel girone eliminatorio più complicato di questi mondiali. La Fifa e gli addetti alla sicurezza russi però sono stati irremovibili. I tifosi con le galline sono stati fermati ai cancelli dello stadio, la Nigeria sul campo. Ora pare che le galline siano state avvistate mentre scorrazzano indisturbate per le campagne di San Pietroburgo.
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NIPPOGALATEO
In Russia i giapponesi hanno mantenuto un’educazione e un self control al limite della dissociazione. A cominciare dai tifosi che si erano distinti ripulendo le tribune degli stadi dove avevano assistito alle tre partite del girone eliminatorio manco fossero gli addetti alle pulizie ingaggiati dall’organizzazione russa. Ma quel che è successo agli ottavi di finale, dopo il 3 a 2 subito al 94esimo minuto (erano in vantaggio di due gol a metà secondo tempo) e la conseguente eliminazione a favore del Belgio, ha dell’inverosimile. E la dice lunga sulla cultura zen dei calciosamurai del Sol Levante. Ai quali è bastata una seconda doccia calda, si suppone, (quella fredda l’avevano già fatta sul campo), una spruzzata di deodorante e abiti puliti per dimenticare tutto e lasciare lo spogliatoio della Rostov Arena pulito e asettico come una sala chirurgica con tanto di biglietto di ringraziamento per scritto in cirillico. Non esattamente come gli spogliatoi dello Juventus Stadium dopo l’ennesima beffa alla squadra ospite (in quel caso era il Milan). Per ringraziare, i ragazzi di Ringhio Gattuso, non proprio un monaco zen, devastarono gli spogliatoi e ringraziarono con un poco simpatico «Ladri di m….»
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TRIBUNE E TRIBUNI
Tra le immagini che rimarranno di questo mondiale ci sono gli stadi, cattedrali di un rito quadriennale che per l’occasione vengono rimessi a nuovo o addirittura costruiti ex novo. Gli impianti russi hanno colpito nel segno: il cono rovesciato della Volgograd Arena probabilmente non riuscirà a mettere in ombra la Statua della Madrepatria Russa, ma sicuramente la affiancherà tra i simboli della città simbolo (Volgograd è il nome dato nel 1961 a Stalingrado) della resistenza al nazismo. E che dire dell’ipertecnologico Saint Petersburg Stadium, inaugurato solo un anno fa sull’isola di Krestovsky, dopo 10 anni di lavori. Progettato dal Kisho Kurokawa è costato più di un miliardo di dollari, ma è un impianto avveniristico: campo in erba scorrevole e tetto che si apre (o si chiude) in meno di un quarto d’ora. La casa dello Zenit può ospitare fino a 67 mila spettatori. Né ha perso fascino dopo la ristrutturazione conservativa da 400 milioni di euro il Maracanà di tutte le russie, il Luzhniki Stadium, che ha inaugurato il 14 giugno e chiuderà il 15 luglio questi mondiali: ora i posti a sedere sono 80 mila (erano 100mila) ma con il suo campo sintetico e la copertura rimane la casa dello Spartak e della nazionale russa. Tre stadi, tre esempi che sono il biglietto da visita di un mondiale che ha riportato la Russia al centro del mondo e sfatano molti pregiudizi sulla Russia di Putin, come ha detto Vladimir Salnikov, eroe in vasca delle olimpiadi russe del 1980. Ma non è solo una questione di architetture. Le tribune di questi stadi sono sempre piene all’inverosimile. Non si è mai visto un mondiale così partecipato. Certo, gli stadi non sono immensi: se si escludono il Luzhniki di Mosca e la Saint Petersburg Arena, gli altri 10 stadi possono contenere fino a 45 mila spettatori. Più o meno come lo Juventus Stadium. Inoltre va messa in conto la compiacenza delle telecamere della tv di Stato ma un dubbio sorge: per fare il pieno di spettatori per Svezia-Svizzera, probabilmente il più brutto ottavo di finale della storia del calcio come hanno fatto? Biglietti omaggio? Figuranti cartonati? Cyberspettatori? Oppure deportazioni di massa come ai tempi di Baffone?