Si può ragionare di cinema in modo critico e credibile, con dosi massicce di dissacrante ironia, scegliendo come medium vignette e didascalie. È l'impresa riuscita a Leo Ortolani
Lasciata per sempre nel cassetto la maschera (d’oro) di Rat-Man, dopo la pluripremiata prova su graphic novel di Cinzia i fumetti di Leo Ortolani tornano al cinema con Il buio colpisce ancora (200 pagine per BAO Publishing), atto secondo di quel Il buio in sala che nel 2016 aveva rappresentato la sua prima, vera prova post-ratto. La serie di riferimento è ancora cineMAH e il volume è quindi una raccolta semi-antologica delle strisce nate sul blog dell’autore, in cui passa sotto la lente i classici del grande schermo: una sorta di side project, insomma; ma che con questo nuovo capitolo fa passi da gigante.
L’idea, in teoria, è semplice: unire le due grandi passioni di chi scrive – i disegni e il cinema (non scordiamoci i riferimenti in Rat-Man) – nell’ibrido delle recensioni a fumetti delle pellicole che hanno segnato la nostra cultura popolare. Il problema, semmai, è la resa finale, ovvero come l’umorismo di Ortolani (il suo: quello tragico e demenziale) possa conciliarsi con il ritmo di una narrazione ovviamente rarefatta, oltre che con la lucidità di una critica che ha l’obiettivo – oltre alla ricerca del dissacrante – di guadagnare credibilità. Ecco: tutto ciò era funzionato a sprazzi nel primo capitolo, e ora va molto meglio.
Perché, banalizzando in maniera (lo so) demenziale, si può dire che Il buio colpisce ancora fa “ridere ma anche riflettere”. “Ridere” perché l’ironia dell’autore è davvero al pieno delle facoltà, fra codici da nerd, disincanto da autocompiacimento e pura demenzialità. La carta vincente la giocano i tempi comici: riquadri con lunghe elucubrazioni densissime di parole, quasi à la David Foster Wallace, risolti dall’immediatezza brillante delle immagini sottostanti. Un gioco a rimbalzo (elucubrazione e immagine, ad libitum) esilarante – reiterato di vignetta in vignetta – che è la gag principale dell’impianto. Poteva stancare, e invece è una prova di forza e di creatività. Ma fa “riflettere”, poi, perché si attacca come una medusa ai classici del cinema kolossal (almeno nell’impatto culturale, quando non proprio di budget e cast) che tutti portiamo nei nostri ricordi. E sì: li massacra, ma in maniera talmente lucida e disinteressata da rendersi spassoso anche per chi cinefilo non è.